Non si sa ancora con quale legge elettorale né quando andremo di nuovo alle urne. Ma il clima da campagna elettorale si respira già nell’aria. Con le primarie del centrosinistra in primis. Così, tra camper rosa e navi da crociera, ci troviamo di nuovo immersi in slogan e promesse politiche. Ma come funziona una campagna elettorale? E chi c’è dietro i discorsi e le parole dei leader politici? «Ci sono consulenti generalisti che si occupano dell’intera strategia del candidato, dalle relazioni esterne all’aspetto fisico», risponde Marco Cacciotto, di professione spin doctor e docente di marketing e pubblicità politica all’Università degli studi di Milano. «E poi ci sono le specializzazioni, dal portavoce al sondaggista fino al ghost writer o speech writer, cioè colui che si occupa di scrivere i discorsi». Ma, aggiunge, «in Italia abbiamo ancora molto da imparare». E si vede.
Partiamo dalle basi: cos’è uno spin doctor?
In Italia abbiamo assorbito l’espressione inglese spin doctor con il significato di consulente generalista di un leader politico, colui che si occupa della strategia del candidato, delle relazioni esterne, ma anche del look e dell’aspetto del cliente. Nei Paesi anglosassoni, invece, lo spin doctor è solo colui che si occupa delle relazioni con i media, cercando di presentare le notizie nel modo più favorevole possibile. Noi abbiamo adottato questo termine in maniera non esattamente corretta, identificando lo spin doctor con lo stratega che sta dietro la figura politica.
Come si diventa uno spin doctor?
Bisogna avere un profilo multiforme. È fondamentale avere conoscenze di politica e non solo del marketing applicato alla politica. Serve un’esperienza politica, anche semplicemente come volontario in una campagna elettorale. Ma bisogna pure conoscere i meccanismi della politica, il diritto parlamentare e insomma tutte le regole del gioco, a partire dalle leggi elettorali. Dall’altra parte, serve conoscere le dinamiche dei giornali, gli orari delle redazioni, la notiziabilità (cosa è notizia e cosa non lo è, ndr) ecc.
Ci sono diverse mansioni nella gestione della comunicazione politica?
Esiste una figura che di solito coordina uno staff, quello che noi chiamiamo “generalista”. Poi c’è il campaign manager, che gestisce la singola campagna elettorale, e altre specializzazioni, come il sondaggista, il portavoce o anche il ghost writer o speech writer, cioè colui che si occupa di scrivere i discorsi dei leader politici.
Ma queste figure sono da sempre esistite in Italia?
Un momento che ha fatto da spartiacque nel nostro Paese è stato certamente il 1994 con la discesa in campo di Silvio Berlusconi, che per la prima volta ha dato grande peso ai sondaggi, al messaggio, alla personalizzazione della campagna elettorale. Anche se già negli anni Ottanta c’erano stati dei pionieri: la Dc, ad esempio, aveva chiamato un consulente americano per curare la campagna elettorale. Ma in Italia, rispetto agli Stati Uniti, abbiamo un gap di decenni. Negli States, l’esplosione della tv è avvenuta nel ’52. In Italia le prime Tribune (la trasmissione “Tribuna politica”, ndr) si hanno all’inizio degli anni Sessanta, e ancora oggi non abbiamo master o altri corsi di specializzazione in comunicazione politica come negli Stati Uniti. È anche vero che il loro sistema elettorale, con l’elezione diretta del presidente, ha aiutato a sviluppare una lunga tradizione di comunicazione politica. Così come è avvenuto per la Francia, che dai primi degli anni Cinquanta ha sviluppato grandi strategie di comunicazione politica per i suoi candidati all’Eliseo.
È vero, però, che anche le nostre campagne elettorali vanno sempre più verso la personalizzazione.
Certo, la personalizzazione delle campagne esiste anche nel nostro Paese. Soprattutto nelle campagne elettorali locali, basate sulle singole personalità e il rapporto con il territorio. Con la legge elettorale proporzionale attuale e le liste bloccate, però, la scelta della singola personalità è venuta meno. Con il maggioritario prima c’era un mercato sui singoli parlamentari. Questo focus sulla persona è rimasto però per le primarie. Come sta avvenendo ora nel centrosinistra.
Ma lo spin doctor lavora solo in una parte politica o offre la propria opera da una parte e dall’altra?
Questa è una questione molto dibattuta. Negli Stati Uniti, dove c’è una professionalità riconosciuta per gli esperti della comunicazione, solitamente si lavora per un solo schieramento, o per i democratici o per i repubblicani. E alcuni ce lo hanno scritto pure sul biglietto da visita. In Italia, invece, non è così. C’è chi è nato e cresciuto in un certo partito politico e allora è dotato di una sorta di professionismo endogeno. Ma chi fa un lavoro con una forte indipendenza è costretto a lavorare per entrambi gli schieramenti e per diversi partiti politici. La maggior parte in Italia lavora così. In pochi lavorano in maniera preminente per un solo schieramento. E quindi ci si occupa della campagna per l’uno e per l’altro e si scrivono i discorsi per l’uno e per l’altro.
Ma proprio tutti i leader politici hanno un ghost writer?
Sì. C’è chi se li fa scrivere in toto, chi dà il testo all’esperto per dare una forma finale al discorso. C’è sempre qualcuno che aiuta i leader nella formulazione dei discorsi. In Italia questa figura è meno riconosciuta, mentre negli Stati Uniti è una figura a sé stante e ci sono intere agenzie di ghost writer che si occupano solo della redazione dei discorsi politici.
Di quali fattori tiene conto un ghost writer quando scrive il discorso per un politico?
Il discorso viene confezionato su misura, in base allo stile e alla personalità della figura politica, in modo da renderlo il più efficace possibile. Non credo a quelli che dicono di poter far leggere lo stesso discorso a dieci persone diverse. Molto dipende dalla esperienza della figura politica, dalla capacità comunicativa. E in base a questo si stabilisce se intervenire in misura maggiore o minore. Sicuramente i nostri candidati hanno bisogno sempre di molto aiuto. Noi cerchiamo di adattare il politichese al linguaggio comune delle persone, ma spesso si sentono alcune cose che sono incomprensibili ai più.
Barack Obama nel corso della convention democratica del 6 settembre a Charlotte (North Carolina)
I leader politici si allenano per imparare a comunicare?
Certo, esiste un training specifico, vengono fatte delle simulazioni e delle prove. Si fanno veri e propri corsi di public speeching. Ci si allena per acquisire sicurezza ed esperienza. E in questo lo spin doctor è simile a un coach, che affianca una persona e la prepara al discorso politico in pubblico. In modo che il candidato di turno impari a essere efficace. Soprattutto con mezzi come la televisione. Molti dei nostri leader ancora non conoscono le regole del mezzo televisivo. Così, quando vengono interpellati nei talk show, anziché dare un messaggio diretto, preferiscono fare preamboli e così vengono interrotti senza aver detto praticamente nulla. Bisogna capire i tempi dei talk show, senza fare preamboli, ma imparando a pronunciare il messaggio subito, prima di essere interrotti.
Certo che i mezzi sui quali bisogna esser presenti sono aumentati. A che punto siamo in Italia nella comunicazione politica via Internet? Barack Obama in questo è stato un maestro…
Per i nostri leader politici, a parte alcuni, la presenza su Internet è più un doverci essere che un capire realmente le potenzialità del mezzo. E anche i social ormai devono essere considerati dei veri e propri mezzi di comunicazione. Cosa altro è Facebook se non un mezzo di comunicazione enorme con 18 milioni di utenti? Il problema è che spesso non viene usato il linguaggio di quel mezzo, ma vengono postati i comunicati stampa alla vecchia maniera su uno strumento nuovo. E così abbiamo vecchi contenuti inseriti su nuovi mezzi.
Quali sono le eccezioni tra i nostri politici?
Giuliano Pisapia a Milano ha fatto certamente un ottimo lavoro nella Rete e sui social network. Ma anche Vendola, nonostante alcune volte il suo linguaggio non risulti adatto alla Rete. Uno molto attento a Internet è anche Pierferdinando Casini, nonostante abbia un’immagine non proprio giovane. Grandi esempi, però, non ce ne sono. Spesso, tra l’altro, non si sa se a scrivere sono i politici stessi o i membri del loro staff. Negli Stati Uniti, invece, quando è il politico a scrivere sui social il messaggio invece viene firmato. Il problema principale è che in Italia i social vengono usati in maniera strumentale solo per le campagne elettorali e non per esprimere punti di vista o comunicare messaggi al di là dell’obiettivo elettorale.
Abbiamo ancora molto da imparare, insomma.
Certo. Obama, ad esempio, dopo l’elezione del 2008, ha mantenuto un dialogo costante con chi lo ha seguito durante la campagna. Il social per lui è diventato una sorta di database per sapere chi erano gli elettori che lo seguivano. Chi dei nostri politici sa chi sono e dove abitano i propri follower? Non si bada all’aspetto qualitativo ma solo a quello quantitativo, ad evere sempre più fan o più “mi piace”. Ma ammesso che tu abbia 1 milione di fan e non sai chi sono, che te ne fai? Nel caso di Obama, invece, creando un suo social network, è riuscito a creare un database degli elettori, con i quali ha mantenuto per tutti e quattro gli anni un rapporto costante al di là della campagna elettorale. E lo stesso staff della campagna non è mai stato completamente smantellato. Cosa che ha rappresentato anche un vantaggio competitivo per far passare la riforma sanitaria.
E in Italia si va oltre la campagna elettorale?
Basta chiedersi: quante e quali comunicazioni hanno ricevuto coloro che hanno lasciato i propri nominativi durante le campagne elettorali al Pd o al Pdl? Il motore viene spento immediatamente dopo le elezioni. Ma l’elettore si arrabbia se torni solo ogni cinque anni. La comunicazione e la cura dell’elettore devono essere continue. I 4,5 milioni di elettori quante volte sono stati interpellati dai leader che hanno votato?
Tornando sulla campagna elettorale in corso. Come giudica la contrapposizione tra il camper di Renzi e la nave da crociera di Berlusconi? Quali sono i messaggi che si vogliono veicolare?
Sono diverse scelte di posizionamento. Il camper è un mezzo low cost, contrario al pullman supertecnologico di Obama. Ed è anche un mezzo più libero del treno perché puoi fermarti dove vuoi. E anche il fatto di chiedere i soldi per il rifornimento di carburante rispetta molto la filosofia della Rete. È una scelta di rottura, una campagna giocata sull’utilizzo di poche risorse. La nave da crociera di Berlusconi è il contrario: è qualcosa di faraonico, non è una cosa a basso costo. E la scelta della nave è stata fatta anche perché ogni fermata in porto diventa una notizia per i media, televisione in primis. Perché nel nostro Paese, è bene ricordarlo, le notizie televisive vengono ancora prima di tutto il resto.
Silvio Berlusconi scende dalla nave da crociera al porto di Bari
A che punto è la campagna elettorale?
La campagna è ancora in uno stato gassoso. C’è difficoltà a capire di cosa si sta parlando, anche per noi addetti alla comunicazione. Negli Stati Uniti si sa che si va al voto ogni quattro anni. Da noi ancora non si sa neanche quando si andrà al voto. Qualcuno conosce la data certa? Anche la campagna per le primarie del centro sinistra è partita: ma qualcuno conosce la data di queste primarie? E sappiamo anche con quale legge elettorale andremo a votare? In base alla legge cambieranno anche le aggregazioni politiche. Ci si muove verso le elezioni senza sapere quali saranno i partiti alleati né la data del voto. È uno scenario da incubo per chi deve progettare una campagna elettorale.
Un lavoro tutto in salita.
Certo, soprattutto se si pensa che di fronte si hanno degli elettori disillusi che non credono più nei valori della politica. Bisognerebbe prima fare un marketing della politica, anziché un marketing politico, per spiegare ai cittadini l’importanza della politica. Stessa cosa vale per le istituzioni europee. Nel 2014 ci sarà il rinnovo del parlamento europeo, ma continuano a diffondersi sentimenti antieuropei, le persone hanno la percezione che il parlamento europeo sia solo uno spreco di soldi. Se si andasse per strada a chiedere ai passanti, pochi saprebbero distinguere tra le diverse istituzioni europee e dire qual è il compito del parlamento europeo. L’immagine dell’Europa che ora prevale è solo quella della crisi, del conflitto con la Germania ecc. A questo si aggiunge la richiesta delle persone di una fast politics.
Cosa intende per richiesta di fast politics?
I media in primis hanno reso tutto più veloce, mentre la politica è rimasta ai ritmi dell’Ottocento e del Novecento. Le persone hanno sempre meno pazienza di aspettare e vogliono tutto subito. Il che è una minaccia per le istituzioni democratiche. Prima si parlava della luna di miele dei primi cento giorni. Oggi, se hai promesso un cambiamento, le persone aspettano che cambi tutto entro un mese al massimo. Da un lato la politica dovrebbe accelerare i suoi tempi, dall’altro alcune cose per cambiare hanno bisogno di tempo.
È quello che è successo con il governo Monti.
In una delle ultime interviste, Monti ha detto che per salvare le sorti dell’Italia servirebbero otto anni, non dieci mesi. Fare riforme di questo tipo richiede molto tempo. Ma è anche vero che bisogna trovare una via di mezzo tra la vecchia politica e il nuovo di pensare in maniera più accelerata. Nel caso di Monti, all’inizio è stato molto capace di raccontare quello che stava accadendo. Poi, invece, è diventato semplicemente il medico che deve somministrare la medicina amara al Paese, perdendo la capacità di raccontare quello che il suo governo sta realmente facendo.