Il mio primo ricordo dell’Italia viene dalla televisione: Don Camillo e Peppone. I miei nonni amavano Fernandel, l’attore francese che ritrasse magistralmente il tipico prete italiano, Don Camillo, in perpetuo conflitto con il sindaco comunista Giuseppe Botazzi, più noto come “Peppone”. Nella città di Brescello, che sorge in una piana che costeggia il fiume Po, i parrocchiani di don Camillo si riferivano ai loro preti in modo commovente, con il termine “Reverendo”, parecchio tempo dopo averlo abbandonato nella piccola città tedesca dov’ero cresciuto. Nel mondo della mia giovinezza, i reverendi vestiti di abiti talari figuravano solo nelle storie dei vecchi del paese. I comunisti neanche esistevano: quelli governavano da qualche parte oltre la Cortina di Ferro ed erano mascalzoni pagani.
L’Italia di Don Camillo, secondo la mia mente infantile, era un mondo in bianco e nero e arretrato: un paese che si aggrappava ostinatamente al suo passato (naturalmente Mussolini e il fascismo non apparivano nelle serie Tv). Ma tra il 1952 e il 1965, mentre la serie veniva girata, la vera Italia ha subito una profonda trasformazione rispetto al paese rappresentato dalla televisione. Nel corso degli anni Sessanta e Settanta, l’Italia era la meta delle vacanze preferita dai tedeschi e aveva una popolarità immensa.
La prima volta che sono andato in Italia era il 1994, a Roma, la Città Eterna, durante una gita della gioventù cattolica. Al tempo, i bus pubblici arancioni andavano ancora con le porte aperte e suonavano ad ogni curva della strada. Il centro di Roma era un incubo per il traffico.
Tra il 1998 e il 1999, ho seguito un anno da studente presso l’Università Gregoriana; l’immatricolazione ufficiale avveniva su una vecchia macchina da scrivere tedesca, la Triumph Adler (probabilmente un lascito dall’occupazione nazista durante la Seconda Guerra Mondiale). Abbiamo aspettato in coda davanti a una lunga fila di queste macchine da scrivere e venivamo chiamati a turno per iscriverci all’anno. I fogli di carta erano gialli, la macchina da scrivere di solito non funzionava e sgocciolava l’inchiostro delle lettere sul foglio. Per fortuna, le bottigliette del correttivo bianco erano a portata di mano per correggere ogni errore. Se qualcuno eventualmente decidesse di scrivere la biografia della mia vita, lo (o la) incoraggerei a scovare i miei fogli d’immatricolazione. Sono una così bella vista!
Solo nel 2000 Roma ha mostrato un’altra faccia di se stessa. Gli amministratori della città si aspettavano (ed erano spaventati da) masse di pellegrini in città per il Giubileo. Sono lontani i tempi in cui i pellegrini dovevano attraversare a piedi le dense foreste del Nord Europa, evitare animali e streghe, o quando si ammassavano sull’unico ponte del Tevere, erano spinti nell’acqua e affogavano un attimo prima di raggiungere il Vaticano. La città aveva deciso che questo non sarebbe più accaduto all’avvento del terzo millennio! Così Roma si è organizzata: nel 2002, sono stato testimone del primo poliziotto del traffico che distribuiva ticket per i parcheggi (ero così stupefatto che mi sono fermato per fare delle foto).
Il vento fresco dell’integrazione europea si stava spargendo tra gli ultimi anfratti della cultura italiana di amore per il caos. Don Camillo misurava ancora il tempo guardando sopra la sua testa. Mezzo secolo dopo, l’Italia è diventata un paese moderno.
Negli ultimi anni Novanta, la società italiana mi apparve particolarmente multi-stratificata. La maggior parte dei giovani di Roma simpatizzava con la Sinistra – lo si poteva pensare guardando i vestiti e i capelli. Tutti odiavano Berlusconi, che già allora deteneva il potere, e che ha continuato a dominare la politica italiana ancora per molti anni.
A Roma, l’anti-clericalismo sembrava una forza dominante dell’identità italiana. Mi era stato detto che, nel 1870, chiunque si fosse messo in marcia su Roma con Garibaldi per completare la costruzione di un moderno stato nazionale italiano, sarebbe stato scomunicato dal Papa. Il trauma viveva ancora: prima di Garibaldi, “essere italiano”, per la maggior parte della popolazione, era un sinonimo diffuso di “essere cattolico”. Dopo il 1870, questa relazione fu parzialmente recisa.
Molti giovani che ho incontrato fuori dall’università non sentivano un legame forte con la Chiesa Cattolica – ma ne parlavano tanto! Forse la politica era considerata troppo immeritevole per perderci tempo e parole. In Piazza Vittorio Emanuele, un’anziana del mio palazzo ha riassunto così la frustrazione degli italiani riguardo la politica: «Noi romani non ci preoccupiamo di quel che accade nella politica. I politici vengono e se ne vanno. Ma abbiamo ancora un re in questa città – il Papa».
Fino al 2011, l’Italia era rimasta impantanata con Silvio Berlusconi. Il “Cavaliere”, com’era conosciuto in Germania, esibiva un tipo di fascino particolare: era completamente interessato al suo impero e al suo potere personale. Per Berlusconi, le vittime del terremoto erano una scena perfetta per poter mostrare la sua leadership determinata (per poi trascorrere anni nei container mentre la costruzione delle case era ferma). Lui ha mostrato un misto curioso di narcisismo e tifoseria. Spero, con tutto il cuore, che gli italiani non cadano ancora una volta tra le braccia di questo demagogo, dato che lui già si sta organizzando per un ritorno in politica cavalcando l’euro-scetticismo. Un capo di stato che piega la legge (o ordina affinché sia cambiata) così da poter evitare la prigione – che razza di leader è?
L’Italia e la Germania: è una lunga storia d’amore che ha trovato la sua espressione visuale nel dipinto del XIX secolo di Johann Friedrich Overbeck, titolata Italia e Germania. Ma oggi cosa pensa la Germania dell’Italia? Noi amiamo la cucina italiana, adoriamo la cultura italiana. I Romani si sono impiantati nella Germania del Sud-Ovest. Se crediamo agli storici dell’Europa antica, la divisione della Germania dovuta al Limes – la fortificazione lungo la frontiera nord dell’impero romano – ha dato avvio allo sviluppo di due diverse regioni: una ad Ovest, dominata dall’influenza romana, e una a Est, dominata dall’eredità germanica. Lo scisma tra Cattolici e Luterani dopo la rivoluzione protestante e la divisione della Germania dopo la Seconda Guerra Mondiale ha istantaneamente ricreato l’antica separazione. Gli abitanti delle due parti della Germania si guardano ancora oggi come se fossero in qualche modo “diversi”.
Il conflitto tra l’Italia del Nord e quella del Sud è in qualche modo diverso. Dopo la riunificazione della Germania, gli stati federali nuovamente incorporati in quel che prima era l’Est mostravano le stesse dinamiche della parte ovest del paese. Non c’è una semplice divisione Est/Ovest: la parte nord della Germania, governata dai Social-Democratici, è rimasta indietro rispetto alla parte sud del paese, governata dai Conservatori. La religione rimane più radicata nel Sud della Germania, sia che le regioni, prima del 1990, appartenessero all’Est sia che fossero parte dell’Ovest. Riguardo i problemi della Germania, non si può colpevolizzare una regione o analizzarla separatamente dal resto del paese.
Per contro, gli italiani – per i quali Dante è quel che Lutero rappresenta per noi in Germania – non sembrano sentire l’appartenenza a un unico popolo. Nord e Sud sono decisamente diversi. Visti da lontano, non c’è una valida ragione che spieghi questa auto-segregazione: tutti gli italiani parlano la stessa lingua, hanno abitudini culturali simili, e più o meno tutti condividono la stessa religione.
Inoltre, l’Italia sembra quasi un’isola. Gli interessi e l’attenzione degli italiani si concentrano automaticamente sugli affari locali. Persino tra vicini, per secoli, le città litigavano e prendevano le armi uno contro l’altro.
Oggi, l’Italia non può sostenere un tale provincialismo. Negli anni Novanta, quando vivevo a Roma, pochi italiani parlavano inglese. Gli studenti che si avventuravano all’estero quasi sempre andavano in Spagna, dove lo stress dello studio era basso e la lingua era più o meno simile all’italiano. La Germania, con le sue città nel centro dell’Europa continentale, è diversa. Al di là dei pregiudizi profondamente radicati, i tedeschi sono diventati, negli ultimi vent’anni, un popolo liberale e tollerante. Siamo indissolubilmente radicati all’Europa e si percepisce che l’Unione Europea sia una benedizione più che una maledizione, e che ci porta più vantaggi che svantaggi. Questa è una ragione per cui in Germania non sono ancora emersi partiti anti-europei.
L’Italia ha gli stessi benefici dall’Europa, anche se la geografia del paese potrebbe far credere che il paese possa avere successo da solo, senza i suoi vicini nordici d’oltralpe. Questa è un’illusione. L’Europa, dal 1945, è una dei più grandi risultati civili e culturali nella storia dell’uomo. Gli italiani hanno diritto a essere orgogliosi di questa storia: dai tempi degli antichi Cesari fino alla creazione della moneta comune, l’Italia ha lasciato il suo segno sulla storia del mondo.
Nel futuro, nessun paese europeo può farcela da solo. Il mondo di Don Camillo e Peppone era significativamente diverso dal mondo che abitiamo: era piccolo e rassicurante. Il futuro appartiene all’Europa. Gli italiani non devono essere spaventati di aprirsi: per secoli, i loro antenati hanno governato un’area enorme del continente europeo.
*fondatore e direttore del giornale online The European, (partner de Linkiesta in Germania) Alexander Görlach, nato nel 1976, ha due dottorati ed ha lavorato all’ufficio stampa del Bundestag. La sua bio la trovate qua.