“La Catalunya versa più di quanto riceva, ma Madrid non ci sente”

“La Catalunya versa più di quanto riceva, ma Madrid non ci sente”

La febbre del nazionalismo catalano sta trascinando la Spagna in un dibattito che resuscita vecchi demoni in un contesto di profonda crisi del sistema bancario, economico e sociale. Ne è conseguenza diretta. Secondo molti analisti, la perdita di produttività, di ricchezza e il peso fiscale nel rapporto fra Madrid e Barcellona che la destra di Rajoy al governo non ha voluto modificare stanno favorendo e rinfocolando un nazionalismo tradizionale, che oggi può contare sulla rabbia trasversale che attraversa gran parte della classe media sotto attacco. Il presidente catalano Mas ha indetto elezioni anticipate per il 25 novembre e ha disegnato una via per arrivare a uno Stato confederato con gli altri Stati membri dell’Unione europea. Emilio Ontiveros, presidente di Analistas Financieros Internacionales, è stato consulente del governo Zapatero e membro di diverse commissioni di studio del governo catalano, quando presidente era il socialista José Montilla. Linkiesta lo ha intervistato.

Emilio Ontiveros, crede che ci troviamo di fronte a una fibrillazione nazionalista in funzione anti-crisi?
Negli ultimi anni si sono concentrati diversi motivi di insoddisfazione per la situazione economica. La Catalunya, come molte altre Comunità autonome, ha dovuto chiedere un prestito allo Stato centrale, ma la percezione delle istituzioni e dei cittadini catalani è che questa manovra, questa richiesta per sanare la casse locali sia ingiusta, per la diversità del saldo fiscale di Catalunya rispetto ad altre regioni autonome. Mi spiego: anno dopo anno Catalunya porta sempre di più nelle casse di Madrid di quello che riceve. È una dinamica che esiste da molto tempo. Oggi il diniego secco da parte del governo di Mariano Rajoy di rinegoziare un patto fiscale ha scatenato questa fibrillazione e aspirazione di maggiore indipendenza, culminata nella Diada dell’11 settembre.

Il president Artur Mas cavalca la tigre e va al voto pensando a un referendum per l’autodeterminazione.
C’è un grande problema: non dobbiamo considerare solo le energie indipendentiste che esistono nella gente, ma leggere il dato politico dei partiti e soprattutto delle autorità catalane. Che si fa dopo le elezioni? Come utilizzare l’energia di una parte significativa della popolazione, dando per scontato che queste aspirazioni si traducano dal punto divista elettorale? Uno scenario probabile è che i partiti indipendentisti riescano a ottenere una forte maggioranza, quindi vedremo come porteranno avanti il progetto di sovranità, anche se ho molte perplessità, perché a oggi non c’è spazio per ipotesi del genere nella Costituzione spagnola. L’altro quesito non va dimenticato: e se non vi fosse una maggioranza di stampo nazionalista?

Sul versante spagnolo?
Per il governo di Rajoy si aggiunge, oltre la difficoltà della crisi economica, anche una battaglia politica sul modello di Stato. Un problema molto grande.  

Catalunya è Catalunya, anche senza Spagna. Ma la Spagna, senza Catalunya, non è più tale. Speculiamo: si reggerebbe economicamente uno stato indipendente, come afferma il presidente Mas? 
È difficile anticipare una analisi su quello che potrebbe essere uno Stato catalano. Catalunya è un’economia dinamica, ma da alcuni anni ha una situazione più critica e la prima cosa da capire è che cosa accadrebbe con uno Stato sovrano rispetto a una indipendenza economica e fiscale. Se si dovessero riprodurre quei costi che oggi sono a carico dello Stato spagnolo, la questione fiscale sarebbe difficile. Il debito pubblico catalano è molto elevato, qualsiasi scenario presenterebbe diverse difficoltà di manovra. Anche per quanto riguarda l’economia e gli scambi commerciali perché si dovrebbe prendere in considerazione anche la reazione degli attori spagnoli. Il 90% del commercio di Catalunya si fa nel resto di Spagna. Quale sarebbe la reazione? Oggi è difficile fare delle simulazioni su questa possibilità. 

I costi per la Spagna sono quelli che già subendo con questo nuovo fronte aperto: incertezza politica, precarietà legata a un nuovo capitolo conflittuale da risolvere. I mercati non possono non essere turbati. E al di là di tutto questo rimane il fatto che cercare l’indipendenza è un cammino molto lungo. Anche l’Europa non vedrebbe con serenità questa rivendicazione . 
I socialisti, l’ex vice-presidente e candidato sconfitto Alfredo Perez Rubalcaba e Juan Luis Cebrian, presidente di El Pais e consigliere del gruppo Prisa, si sono spesi per un progetto di Stato federale. È l’ipotesi politica che indica un processo di revisione costituzionale. Si aprirà, indipendentemente da quello che dica il Partido popular al governo. L’idea del partito socialista è quella di cercare un denominatore comune per risolvere un contenzioso che dura da tempo. Creare un contesto costituzionale in cui il Paese basco e Catalunya possano essere riconosciuti in senso federalista, come personalità diverse dal resto delle autonomie. È il federalismo asimmetrico. Se questo non accadrà saremo di fronte a due pericoli: il primo è quello di rimanere ostaggi di operazioni radicali che non hanno una via di uscita. E il secondo, conseguente, è che si dovrà cercare di governare il senso di frustrazione sociale che potrebbe derivare da tutto questo.

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