Le statistiche dell’Inter relative all’ultimo match con il Siena fanno pensare a una partita dominata dai nerazzurri. La squadra di Stramaccioni ha avuto il 56% di possesso palla, ha giocato 664 palloni contro i 494 degli ospiti, ha battuto 11 calci d’angolo (contro 7 del Siena). E poi, ecco i dati relativi ai tiri: le conclusioni totali sono state 23-8 per i padroni di casa. Ma non è sempre con le statistiche che si vincono le partite. Contro il Torino, la squadra era apparsa tatticamente confusa e ancora troppo legata alle intuizioni di quello straordinario attaccante che è Diego Milito. Ieri contro il Siena, il tecnico nerazzurro ha cambiato ancora la disposizione della squadra, ma è cambiato anche il risultato: 0-2 per gli ospiti. Guardate il primo gol: Rosina prende il pallone e fa quello che vuole. Una squadra come si deve avrebbe aggredito il portatore di palla, per la serie: la prossima volta che ci provi sono problemi tuoi. Proprio come avrebbe fatto una provinciale.
Ecco, Stramaccioni proprio non gradisce il termine ‘provinciale’ e ne approfitta per fare un po’ di polemica con giornalisti e opinionisti. Ma il giovane allenatore sa bene che la squadra ha bisogno di un’impronta di gioco e di un’identità. Gli esperimenti fino ad ora hanno dato risultati sufficienti, ma c’è ancora molto da fare, come dimostra il match di ieri pomeriggio. L’idea di far scalare Cambiasso al centro della difesa per impostare il gioco dal basso in fase di possesso palla non è male, ma va affinata e inserita in un contesto. Il problema è che il Cuchu già da tempo non può più garantire continuità e (di conseguenza) qualità per tutti i novanta minuti: lo aveva capito persino Claudio Ranieri, nella scorsa stagione dei disastri. Lo stesso Ranieri che in effetti faceva giocare l’Inter da provinciale, arrangiandosi con quel che aveva ma provocando mugugni e sbadigli al popolo di San Siro. Stramaccioni cerca di fare altro, anche lui cimentandosi con quello che gli ha dato la società (ovvero una difesa inadeguata e nessun sostituto di Milito) ma sbagliando come nell’incertezza sulla posizione di Alvaro Pereira: o gioca a centrocampo, o in difesa. Ma il vero ‘dramma’ è dato dal fatto che questa non può ancora fare a meno di un 39enne come Zanetti: se non rattoppa lui, l’Inter va in palla. E gente navigata come Guarin o Gargano perdono la bussola, proprio perchè senza Zanetti che corre o Cambiaso che imposta da dietro e non a fianco a loro, perdono due punti di riferimento indispensabili e cominciano a correre a vuoto.
Come credete che vinca la Juve, solo con i lanci di Pirlo o i tocchetti levigati di Vucinic? No, chiaro. Lo fa con la solidità di un gruppo che crede ciecamente in ciò che chiede il tecnico e che va a pressare l’avversario anche al 47’ minuto della ripresa, a risultato ampiamente acquisito ed invariabile. Questa è la squadra vista sabato sera con il Chievo. Una Juve che scende in campo con 3-5-2 vero e permanente (che non diventa quasi mai un 5-3-2), cioè con i due laterali che attaccano come forsennati. Asamoah, Isla (in ritardo di condizione) e Lichtsteiner hanno fatto la loro brava gavetta nelle provinciali (nell’Udinese i primi due, nel Lille lo svizzero prima di andare alla Lazio) per poi metterla al servizio di una grande della serie A. La partita con il Chievo ha persino esaltato le caratteristiche di uno come Giaccherini, che sabato è stato tra i migliori in campo, se non il migliore, per la quantità di chilometri macinati in campo, per aver giocato sia da interno che da esterno destro e per aver illuminato con lanci le punte. Qui le statistiche ci danno una mano: 62% di possesso palla bianconero, 22 tiri (9 nello specchio) contro i 5 (2 in porta) del Chievo: in sostanza, i bianconeri hanno espresso sul campo una percentuale di pericolosità dell’83%. E il match contro il Chelsea, così come il secondo tempo contro il Genoa dello scorso turno, hanno dimostrato che questa squadra non muore mai. A questo deve puntare Stramaccioni, pur nella difficoltà di non avere un organico numeroso e qualitativo come quello bianconero.
E il Milan di Allegri, come li ha ottenuti un primo e un secondo posto? Con un centrocampo che frenava sul nascere le imprese degli avversari, per poi certo affidare tutto o quasi ad Ibra in fase realizzativa. Ora il tecnico livornese rischia, ma resta da vedere – al di là del suo curriculum rossonero fatto di 162 punti in due anni – se conviene cacciarlo. La squadra è stata costruita secondo il suo credo calcistico e mettere in panchina Tassotti significherebbe usare la controfigura di Allegri. Eppure il Milan farebbe allo stesso tempo bene a riflettere, perché a Udine il mister si è fatto ingabbiare da Guidolin. Il friulano ha dimostrato una dote non indifferente per la serie A: saper cambiare le partite in corsa. Il Milan era partito bene, con un 4-3-3 propositivo che vedeva Pazzini ed El Sharaawy davanti ed Emanuelson poco dietro a supporto. Guidolin ci ha messo 10 minuti per capire come cambiare la partita: via il 3-5-2 di partenza, cambiato in un 4-3-1-2 con lo spilungone Ranegie prima punta. Una mossa che si rivelerà decisiva, mentre il Milan si faceva imbrigliare e si perdeva nella metà campo avversaria. E se anche uno come Boateng sembra annaspare, la frittata è servita.