La caccia ai killer dell’ambasciatore statunitense e degli altri tre americani assassinati in Libia si sta restringendo, mentre le proteste e il malcontento causato dall’assassinio stanno aumentando sulla scena. In tutto il mondo islamico, la preghiera del venerdì offre un palco enorme per la rabbia popolare. La Fratellanza Mussulmana, che ora domina il governo egiziano, sta richiamando milioni di persone al Cairo per manifestare.
Giovedì, il primo ministro libico Mustafa Abu Shagur ha detto che i sospetti erano stati arrestati e «grandi progressi sono stati fatti» nella ricerca di coloro che martedì avevano attaccato il consolato americano di Bengasi. L’ambasciatore Chris Stevens e l’assistente diplomatico sono stati uccisi nell’edificio in mezzo al caotico incendio. Gli altri due morti erano ex-Navy Seal, presumibilmente occupati come collaboratori esterni che cercavano di recuperare i missili anti-aereo Manpad [sistema missilistico leggero, ndt] ancora nelle mani dei miliziani e degli estremisti libici, mentre l’altro Seal era stato mandato a Bengasi nella missione di salvataggio per tre dozzine di persone dello staff fatte evacuare.
«Abbiamo qualche nome e delle fotografie» ha detto Abu Shagur all’Agence France Presse. «Alcuni arresti sono stati fatti e altri si aggiungono mentre noi parliamo». Non ha nominato nessun gruppo specifico, dicendo che avrebbe aspettato di entrare in possesso di tutti i dettagli. Ma i membri dell’organizzazione nascosta jihadista affiliata ad Al Qaeda, Ansar al Sharia, sono stati riconosciuti come partecipanti all’attacco al consolato.
Tutto questo avviene sullo sfondo delle proteste anti-americane improvvisamente esplose nel mondo mussulmano: le più serie in Egitto e nello Yemen, dove parti dei complessi delle ambasciate americane sono stati temporaneamente occupati; ma anche in Tunisia, Gaza, Iran e Iraq, dove Washington ha speso centinaia di miliardi di dollari – e migliaia di vite – per liberare, occupare e cercare di ricostruire.
L’ipotesi sulle ragioni delle proteste era un film grossolano prodotto in California lo scorso anno, poi spezzettato e tradotto in arabo su youtube all’inizio di questo mese, appena in tempo perché il malcontento coincidesse con l’anniversario dell’attacco agli Stati Uniti dell’11 settembre 2001. Gli ambigui e sfuggevoli produttori, secondo diverse ricerche, erano cristiani copti che vivevano negli Stati Uniti la cui intenzione è di indicare l’Islam come una religione violenta e ipocrita. Il presunto regista, Nakoula Bassely Nakoula, è un cristiano copto che inizialmente si è definito un ebreo israeliano. Su di lui pende un documento di accusa in California che include il rischio d’incarcerazione per reati legati ai narcotici oltre che per frode.
Ritraendo il profeta Maometto come un deviato sessuale assetato di sangue, gli autori del film volevano umiliare i mussulmani al massimo possibile, e ci sono riusciti. Ma una volta iniziate le proteste sono state rinvigorite tanto dalla politica interna di ciascun paese che dalla furia religiosa. I radicali jihadisti che alimentano la rabbia delle folle vogliono mostrare che i loro governi – speclalmente le fragili democrazie – sono deboli e inefficaci.