Mediobanca abbandona Nagel al suo destino (ma ancora non può dirlo)

Mediobanca abbandona Nagel al suo destino (ma ancora non può dirlo)

La versione di Alberto Nagel sul patto segreto con la famiglia Ligresti non ha incantato il consiglio di amministrazione di Mediobanca. Nella riunione l’amministratore delegato artefice dell’operazione Unipol-FonSai ha fornito la sua ricostruzione del patto siglato con la famiglia Ligresti, che gli è costata l’iscrizione nel registro degli indagati con l’accusa di ostacolo all’attività delle autorità di vigilanza da parte della Procura di Milano. Nagel ha ribadito di aver firmato il foglio con le richieste avanzate dai Ligresti, mosso da compassione, non per accettazione ma «per presa visione».

Nessuna richiesta di chiarimenti. Secondo un consigliere anonimo citato dalle agenzie di stampa, la versione di Nagel non avrebbe sollevato critiche o richieste particolari di chiarimento, a dispetto dell’impatto reputazionale e finanziario – l’eventuale Opa su Premafin, se non addirittura su FonSai – che si avrebbe su Mediobanca qualora le indagini giudiziarie e le decisioni della Consob riconoscessero al “papello” Nagel-Ligresti la natura di patto parasociale. «Nagel ha agito nell’interesse della banca», pare abbia detto un altro consigliere. Con quest’operazione, in effetti, Nagel è riuscito a salvaguardare i crediti che negli ultimi dieci anni sono stati concessi ai Ligresti (1,1 miliardi elargiti fino al 2008) e a tutelare anche quelli erogati a Unipol (400 milioni). Tutto questo, però, a spese dei piccoli azionisti il cui investimento è stato azzerato. La soddisfazione espressa «per lo stato di avanzamento del progetto di integrazione Unipol/Fondiaria-Sai e della connessa ricapitalizzazione», tuttavia, non è bastata a far verbalizzare una conferma esplicita di fiducia all’amministratore delegato. 

Fiducia nelle indagini. In momenti come questi le parole sono importanti e il comunicato diffuso al termine della riunione è molto cauto: «Il Consiglio unanime, sulla base delle informazioni a sua disposizione, attende con piena fiducia l’esito delle indagini». Il destino di Nagel, insomma, è appeso all’inchiesta condotta dal pm Luigi Orsi, e il cda se ne è lavato le mani. Per Piazzetta Cuccia il tema del riassetto strategico (a cominciare dalle partecipazioni in Generali, Rcs e Telco-Telecom) e di potere è aperto, anche se ci vorrà del tempo. Si vuole evitare di aprire una crisi al buio. Un’accelerazione delle indagini in direzione sfavorevole a Nagel, potrebbe tuttavia far precipitare gli eventi. In caso di uscita concordata o di licenziamento senza giusta causa o dimissioni a seguito di giusta causa, Nagel avrebbe diritto a quattro annualità della retribuzione fissa e variabile e dell’emolumento per la carica di consigliere, che ammonterebbero a 10,2 milioni di euro. Secondo i dati disponibili nell’ultimo bilancio, la remunerazione annua di Nagel ammonta a 2,9 milioni ma include un compenso di anzianità una tantum di 384mila euro. A marzo era stata avviata una procedura per il taglio del 40% delle retribuzioni del top management, di cui però non si è saputo più nulla, mentre il presidente Renato Pagliaro ha rinunciato alla buona uscita (v. altro articolo).

Botta e riposta con Geronzi. Le indiscrezioni che arrivano da Palazzo di giustizia riferiscono che, dopo la pausa estiva, il pm Orsi ha ripreso a lavorare alacremente sul dossier, e presto potrebbe sentire altri protagonisti della vicenda, dall’amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, a quello di Unipol Carlo Cimbri. Sembra anche che Nagel sia stato interrogato una seconda volta pochi giorni fa, ma non vi sono conferme ufficiali. Nell’interrogatorio dell’1 agosto, secondo l’agenzia Reuters, Nagel avrebbe cercato di ridimensionare le sue responsabilità nella gestione del rapporto con i Ligresti dichiarando al pm Orsi che, dopo l’uscita di scena del suo predecessore Vincenzo Maranghi nel 2003, «i Ligresti ritenevano che la gestione del rapporto con Mediobanca potesse essere fatta trattando solo con i soci di peso, Profumo, Geronzi e Bollorè». Questo, secondo l’a.d. di Mediobanca, avrebbe impedito  quella «moral suasion» che si esercita normalmente su un cliente, ma non di erogargli oltre un miliardo di crediti, visto che lo stesso Nagel ha ammesso di aver gestito la «relazione bancaria» con i Ligresti. La reazione di Cesare Geronzi non si è fatta attendere: «Le dichiarazioni del dott. Nagel, riguardanti la mia persona, tendono, più che a descrivere la realtà dei fatti, a trovare una giustificazione al suo operato. Insomma, una scoperta ricerca di diversivi». Il banchiere romano, presidente di Mediobanca dal 2007 al 2010, e poi delle Generali fino ad aprile 2011, ha ribadito di non avere «mai interferito nella operatività dei manager che hanno curato la posizione della famiglia Ligresti». Una posizione peraltro ribadita nel pomeriggio anche da Mediobanca: «L’operatività caratteristica dell’istituto è sempre stata svolta sotto l’esclusiva responsabilità del management nel rispetto, ben inteso, delle vigenti regole di corporate governance». In Piazzetta Cuccia non sembra esserci molto spazio per giocare allo scaricabarile.

Twitter: @lorenzodilena

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