Napoli taglia i fondi del centro anticamorra di Scampia

Napoli taglia i fondi del centro anticamorra di Scampia

NAPOLI – Una piccola rivoluzione. È il risultato di cinque anni continui di attività del Centro Territoriale Mammut. Dal 2009 è in piazza Giovanni Paolo II, conosciuta come piazza Grandi Eventi, a Scampia, a pochi passi dalle Vele. Dove operatori sociali, educatori, psicologi e volontari sono stati un punto di riferimento per molti ragazzi, bambini e famiglie del quartiere. Sono stati, perché la crudele spending review colpisce anche loro e a settembre i servizi offerti sono stati drasticamente ridotti. «Abbiamo iniziato nel ‘97 come volontari nei campi rom di via Zuccarini, quelli che erano vicino alla metropolitana di Scampia» dice Chiara, una delle anime del centro. Passo dopo passo i confini si sono estesi. Gli educatori sono arrivati da varie parti d’Italia: Alessandra da Modena e Valentina da Padova, oppure Paul come volontario da Francoforte. Lo scambio è stato forte e il progetto, a vocazione nazionale, è cresciuto grazie al continuo confronto con educatori e insegnanti di Modena, Bologna, Pistoia, Venezia, Firenze, Roma e Milano.

A Milano Asnada è «una delle realtà che è venuta a farci formazione e con cui c’è uno scambio di metodologie nell’ambito della scuola di italiano per stranieri. Nell’impostazione metodologica della ricerca-azione del Mammut», continua Chiara, «un importante supporto ce lo ha fornito l’agenzia di ricerca Codici di Milano».

Davide è una delle colonne portanti dei giovani del Mammut. Ha seguito fin dai primi passi l’attività del Centro e insieme agli educatori ha portato avanti il suo «progetto educativo individualizzato». A luglio ha organizzato R-Estate a Scampia, manifestazione finanziata dal Comune di Napoli a cui ha partecipato anche l’Orchestra del Teatro San Carlo. «È l’abitudine», spiega Davide parlando del quartiere, «l’abitudine di vedere sempre la stessa persona, è normale che la segui come un mito».

E poi traccia la mappa geografica della città vista da Scampia: «Se parliamo delle altre periferie come Barra, San Giovanni, Ponticelli le senti vicinissime a te, i rioni più alti come il Vomero e Mergellina li senti lontani». Napoli e la periferia sembrano due città diverse. Per esempio, riflette Davide, «quando ci spostiamo da qua diciamo “jamm a Napule”, andiamo a Napoli, non diciamo andiamo in centro».

Il Mammut è l’alternativa e l’ambizione è di educare a un approccio diverso allo spazio urbano, cercando il contatto costante le persone. Tra queste anche molti immigrati in arrivo da Castel Volturno, Acerra, Giugliano e Casal di Principe. «Con le istituzioni c’è stato uno scambio reciproco», spiega Chiara, «noi abbiamo messo al loro servizio le nostre competenze». In cambio chiedono la loro presenza.

La Regione Campania e la Fondazione Banco di Napoli per l’Assistenza all’Infanzia hanno co-finanziato i lavori per i primi tre anni, il quarto è stato finanziato dal Comune di Napoli, dalla Tavola Valdese e dalla Fondazione Sorelle Masolini di Udine. 

Da luglio 2011, però, il Comune ha chiuso i rubinetti benché avesse un protocollo d’intesa con il Centro triennale. Ora restano dei piccoli ma fondamentali aiuti privati: della Fondazione Sorelle Masolini, della Fondazione Unipolis, che dà una mano per la creazione di una Mediateca all’interno del Centro, e da agosto della Fondazione Aiutare i Bambini. Anche se dall’anno scorso i finanziamenti pubblici sono stati azzerati, gli operatori hanno continuato ad offrire attività, gratuite.

Chiara spiega così come si può trasformare un quartiere periferico: «Quando siamo arrivati piazza Giovanni Paolo II era la “piazza del buco”, dove si consumava eroina e droghe di tutti i generi, siamo stati vicini alle persone, il contatto con il territorio è stato fondamentale, gli attori devono esserci tutti, istituzioni, associazioni e persone». È il desiderio del cambiamento sociale. «Il Mammut ti invoglia, è il commento di un altro ragazzo, non ti butta giù». È l’alternativa ai falsi miti del sistema-camorra.