Stivaletto basso maculato di Zara: 79,95 euro in un negozio di Milano, 55,95 in una tienda di Madrid. Non serviva fare un giro sui siti web del gigante dell’abbigliamento low cost per scoprire che le grandi catene differenziano i prezzi a seconda dei Paesi in cui operano. Ma accertare, come ha fatto Altroconsumo in un suo studio, che l’Italia è tra i più penalizzati, allora sì che questo ha tutt’altro sapore. Nel nostro Paese, in media, le grandi catene applicano infatti una maggiorazione dei prezzi del 15 per cento in più. Peggio di noi solo Spagna (+23%) e Portogallo (+36%). A esser favoriti, Paesi più ricchi come Germania e Lussemburgo.
Per rendersi conto delle differenze, basta guardare i cartellini utilizzati da alcune catene in cui il prezzo viene riportato con una bandierina accanto, corrispondente al Paese di vendita. Una pratica, scrive Altroconsumo, «che consente alle catene di risparmiare sui costi di stampa, ma che con l’introduzione dell’euro è diventata sempre più rara». Perché? Semplice: la grande distribuzione ha capito «che i clienti si indispettiscono se scoprono che altrove lo stesso prodotto costa meno».
Ma guardare il cartellino non è necessario. E non serve neanche prenotare un aereo per Barcellona. Basta andare sui siti Internet della grande distribuzione per scoprire che le donne spagnole possono comprare quegli stivaletti maculati che tanto ci piacciono a ben 24 euro in meno. Mica male, no?
Peccato, però, che questa volta neanche la Rete ci salverà. Perché, provando a comprare gli stivaletti sul sito spagnolo, ogni nostro tentativo verrà bloccato. Per accedere alla parte e-commerce di Zara, ad esempio, bisogna creare un account. E, tra le caselle bianche da riempire, ci sono anche quelle dell’indirizzo. Così, al momento dell’acquisto, l’account non risulterà valido su zara.es. Costringendoci quindi a tornare sul sito italiano e a comprare gli stivaletti a 24 euro in più. Stesso discorso per Decathlon. Un po’ meno severo, invece, il sito di Fnac: non inviano prodotti hi-tech, ma libri, cd, dvd e biglietti per spettacoli sì.
Altroconsumo ha analizzato i prezzi di 13 catene (Ikea, Zara, H&M, Fnac, Burger King, McDonald’s, Media World, Disney Store, Decathlon, Levi’s, The Body Shop, Mango e Yves Rocher) in otto Paesi europei (Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Italia, Olanda, Portogallo e Spagna), selezionando 4.126 prezzi. Il risultato è che il livello dei prezzi pesa di più sul bilancio delle famiglie dei Paesi dell’Europa meridionale che su quelli dell’Europa settentrionale. E rispetto al Paese meno caro per ciascuna catena, in Italia mediamente si paga il 15% in più.
Tra le catene che praticano solo piccole variazioni di prezzo, ci sono Ikea, Disney Store, Decathlon, H&M e Levi’s. Il marchio dei jeans americani è quello che più si avvicina al prezzo unico, con un risparmio o un sovraprezzo che al massimo varia del 2 per cento. Diverso è discorso per la spagnola Zara, che mantiene i prezzi inalterati in Spagna e nei mercati vicini, Portogallo in primis, mentre in altri Paesi, come Italia e Francia, pratica un aumento dei prezzi con una media del 26 per cento. Stessa filosofia per Fnac, che – scrive Altroconsumo – «pratica una politica di prezzi sciovinista», mantenendo i cartellini più bassi nella madrepatria francese.
La variazione dei prezzi dipende da molti fattori, tra cui il costo della distribuzione e il potere d’acquisto di ciascun Paese. Tant’è che, come sottolinea il report di Altroconsumo, non è detto che mantenendo il prezzo omogeneo il costo effettivo nei diversi Paesi sia uguale. Perché il potere d’acquisto può variare. Tra gli otto Paesi presi in considerazione, il Lussemburgo è quello in cui la capacità di acquisto delle famiglie è più alta, il Portogallo quello in cui è più bassa. Questo significa che un jeans Levi’s con lo stesso prezzo pesa di più nelle tasche di un portoghese che di un lussemburghese.
È per questo che ci si aspetterebbe che le catene pratichino prezzi più bassi a Lisbona e più alti a Lussemburgo. E invece non è così. Ogni multinazionale ha una propria strategia. Con il risultato che i cartellini più cari sono riservati ai Paesi del Sud Europa, Italia compresa, mentre quelli più leggeri a Paesi ricchi come Lussemburgo e Germania.
Nel caso di Mc Donald’s, ad esempio, nonostante un Big Mac in Lussemburgo costi 3,90 euro e in Portogallo 2,85 euro, se il prezzo viene rapportato al potere d’acquisto nei singoli Paesi, il Lussemburgo risulta il Paese più conveniente in cui mangiare un hamburger, mentre il Portogallo scende al penultimo posto. Considerando Ikea (che non ha punti vendita in Lussemburgo), invece, la politica dei prezzi tendente alla omogeneità finisce anche in questo caso per penalizzare Paesi come Italia, Spagna e Portogallo. Anche se per alcuni prodotti le differenze di prezzo sono notevoli e a svantaggio, ancora una volta, dei Paesi con minor potere d’acquisto. Prendiamo la libreria Expedit, ad esempio, che in Belgio costa 19,95 euro e in Italia 30,24 euro: più di dieci euro di differenza.
H&M, invece, 2.500 negozi in 44 mercati, preferisce variare i prezzi da Paese a Paese in maniera quasi impercettibile. La piazza principale per il marchio low cost dell’abbigliamento è la Germania, seguita da Stati Uniti, Francia e Inghilterra. Negli otto Paesi europei considerati da Altroconsumo, l’Italia si piazza al quinto posto per convenienza, superata da Lussemburgo, Francia, Belgio e Olanda. Quello messo peggio ancora una volta è il Portogallo.