Bersani-Bindi-D’Alema-Franceschini-Fioroni-Veltroni. Un po’ come il Sarti-Burgnich-Facchetti-Tagnin-Guarneri-Picchi di morattiana memoria. Soltanto che stavolta non parliamo della gloriosa formazione del mago Herrera, bensì dell’organigramma di “potere” che da tempo circola nelle stanze romane del Pd. Il papello, così è stato soprannominato dal Foglio, giornale che per primo rivelò l’ipotetica composizione del governo che verrà.
Oggi, dopo le accuse di Matteo Renzi sul patto di potere tra i “grandi” del partito democratico, ci torna su Repubblica con un articolo a firma Goffredo De Marchis. Articolo che sta girando molto su Internet, con i commenti che potete ben immaginare.
Diciamo la verità, queste cose sono sempre successe. Nell’Italia della prima Repubblica un signore di nome Massimiliano Cencelli passò alla storia per aver inventato un metodo algebrico di spartizione delle poltrone tra correnti o partiti. Così come da sempre i “malati” di politica si divertono a ipotizzare, disegnare, scenari futuribili al pari di un appassionato di calcio che sotto l’ombrellone fantastica sulla squadra che verrà.
Il nodo è che i tempi sono cambiati. Gli anni ottanta, con l’onda lunga socialista e il patto Craxi-De Mita sono un lontano ricordo. I cittadini assistevano da lontano, molto lontano, ai giochi di Palazzo e di fatto li subivano. Ma era un’altra epoca. Tante cose sono cambiate da allora. E, di fatto, gli unici che si ostinano a non accorgersene sono proprio i protagonisti. I politici della vecchia scuola, quelli che da sempre osservano infastiditi questa cagnara che proviene dalle viscere (oggi le viscere sono il web) e che però ultimamente ha risuonato in modo per loro fastidioso nelle urne.
Diciamo la verità, il ribellismo un tanto al chilo di Internet è insopportabile tanto quanto la protervia di chi si considera naturaliter destinato all’esercizio del potere e tratta il corpo elettorale (che è organo costituzionale, vale sempre la pena ricordarlo) alla stregua del popolo affamato cui elargire brioches.
L’ostinazione dei grillini, della cosiddetta antipolitica, a considerare ogni accezione politica come un privilegio della casta è pari solo all’ostinazione della classe dirigente a non voler comprendere che un’epoca si è chiusa, che col “volgo” bisogna confrontarsi, che non si può calare dall’alto la loro (presunta) superiorità intellettuale.
Insomma, siamo al muro contro muro. Che, come più volte scritto qui su Linkiesta, rischia di esplodere in maniera deflagrante sotto i loro e i nostri occhi. È la storia a insegnarci che nessun detentore del potere – tranne forse Juan Carlos – abbia mai compreso quando fosse il momento di fare un passo indietro o comunque di rinegoziare le modalità di esercizio del potere.
È questo il motivo, come scrive Tondelli, per cui basta un Renzi che lanci il guanto di sfida per seminare il panico e provocare le reazioni stizzite dei “garantiti”.
È francamente difficile uscire da questa situazione. I due blocchi appaiono sempre più contrapposti e sempre più sordi alle ragioni dell’altro. C’è un’unica differenza: chi oggi sogna di occupare quelle stanze di governo che già in passato ha occupato dimentica che ha bisogno del “volgo”, dei loro voti. Non basteranno più recensioni agli odiati nemici né intervistone con giornalisti compiacenti (ah, a proposito, sapete quanti giornalisti di area stanno sognando i prossimi organigrammi col governo di centrosinistra?) né dibattiti in cui parlano di aria fritta né cinguettii vanesi su Twitter.
E dalla velocità con cui in rete sta circolando l’organigramma che vede Bersani a Palazzo Chigi, la Bindi sua vice, D’Alema alla Farnesina, Franceschini segretario del Pd, Fioroni ministro, ne deduciamo che il pacchetto di voti a loro favorevole non sia poi così congruo. Ma, così ci hanno insegnato le nonne, non c’è peggior sordo di chi non voglia ascoltare. Anche a costo di ritrovarsi tra sette mesi a trasformare quegli organigrammi in innocui e tristi giochi virtuali. Mentre la realtà potrebbe raccontare tutta un’altra storia.