Protezionismo e incentivi, il cinema coreano vince così

Protezionismo e incentivi, il cinema coreano vince così

SEOUL – Il Leone d’Oro 2012 consacra un autore, Kim Ki-duc, ma può essere letto anche come l’ennesima manifestazione del successo internazionale della cultura popolare coreana. Che chiaramente non si esaurisce con la musica pop, le telenovelas e i giochi video – insomma con la K-wave – visto che la cinematografia d’esportazione del paese del Mattino calmo ha caratteristiche ben distinte.

È un cinema capace di vincere nei grandi film internazionali: alla Mostra, ad Oasis andarono nel 2002 i premi delle migliore attrice e del miglior regista, oltre che il FIPRESCI della critica internazionale, che Ferro 3 – La casa vuota vinse a sua volta nel 2004. Sulla Croisette Poetry di Lee Chang-dong ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura nel 2010, mentre il premio Un certain regard è andato a Ha ha ha nel 2010 e ad Arirang, anche questo di Kim, nel 2011. Film tutt’altro che semplici: Ferro 3 – La casa vuota, per esempio, è estremamente lento e i due personaggi principali non parlano mai.

L’industria cinematografica coreana ha goduto di grandi protezioni a partire dagli anni 60. I cinema dovevano proiettare film locali per non meno di 146 giorni all’anno, anche se la rigida censura scoraggiava l’innovazione e pochi furono i grandi successi di botteghino. Paradossalmente fu necessaria una riforma che, nel 1987, aprì alle major americane i canali della distribuzione diretta nei cinema perché iniziassero a fluire i finanziamenti e migliorasse la qualità del prodotto locale. I film giapponesi furono invece tutti vietati, fino al 1998 quando si autorizzò la distribuzione di quelli che avevano vinto un premio in un festival internazionale – raramente quelli capaci di attirare le folle!

All’inizio del secolo, quando finalmente i film locali arrivarono a metà del mercato, le regole furono liberalizzate, anche se tuttora ogni schermo deve proiettare produzioni coreane per almeno 73 giorni all’anno. Una regola che è applicata anche per i film americani, data l’esclusione degli audiovisivi dal campo d’applicazione del Trattato di libero scambio tra Stati Uniti e Corea – un successo di Lee Chang-dong, nel frattempo nominato Minsutro della cultura, che la Francia, tradizionalmente difenditrice dell’exception culturelle, ha ricompensato con la Legion d’Honneur rimessagli da Renaud Donnedieu de Vabres.

La strategia sembra pagare. Ad agosto, le produzioni locali hanno rappresentato quasi 70% dei biglietti venduti, un aumento straordinario rispetto al 53% d’inizio anno. The Thieves (il furto di un diamante da 20 miliardi di euro) è bene in corsa per superare il record assoluto per un film coreano – 13,1 milioni di entrate – stabilito da The Hos”. Storie semplici, alla Hollywood ma con un tocco coreano, e Chungmuro, l’equivalente coreano di Cinecittà, l’ha capito. Nei primi otto mesi dell’anno, sette film hanno passato i quattro milioni di spettatori.

E anche chi non ha mai sentito parlare di filmografia coreana, e magari neanche tanto della Corea, si sorprenderà a vedere Seoul nel quarto episodio della serie Bourne, quel The Bourne Legacy che, nel suo primo weekend americano, ha scalzato The Dark Knight Rises dal piedistallo del box office. Come ha dichiarato il regista Tony Gilroy, Seoul è la location perfetta, ancora sconosciuta (ma chissa per quanto, dopo il successo planetario di Gagnam Style!) ma con i requisiti di qualità per un film di grosso budget. Dal 2007, 97 film vi sono stati girati, soprattutto asiatici ma anche americani e francesi. Le autorità locali danno fino a 100 milioni di won (un po’ più di 70 mila euro) per i costi di produzione locali e coprono parte dei costi di viaggio e soggiorno del team che fa lo scouting per scegliere dove realizzare il film.

Altro elemento importante, il BIFF, Busan International Film Festival, ormai il più importante di tutta l’Asia non soltanto dal punto di vista artistico ma anche come occasione d’incontro tra artisti e finanziatori con l’Asian Project Market in 2011. Dall’anno scorso il BIFF, la cui 17ima edizione avrà luogo a ottobre, ha una nuova casa, il Busan Cinema Center. Costato più di 100 milioni di euro e disegnato dallo studio austriaco Coop Himmelblau, dispone di un teatro all’aperto da 4 mila posti e di quattro schermi coperti. Il BIFF ha un rapporto forte con l’Italia, simbolizzato dal riconoscimento che ha dato a tre italiani che molto hanno fatto per il cinema asiatico in Europa: Adriano Aprà della Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, Sabrina Baracetti del Far East Film Festival di Udine e Riccardo Gelli, direttore del Florence Korea Film Fest.

Invece in patria nessuno dei film di Kim ha ottenuto grande apprezzamento dal pubblico e dalla critica. Anche quando ha lavorato con una star conosciuta, Jang Dong-gun, il risultato (The Coast Guard, uscito nel 2002) non è stato apprezzato. Forse perché, in una società così marcata dalle credenziali educative, Kim è un autodidatta, mentre altri registi hanno studiato in grandi università nazionali e internazionali; forse perché i suoi film raccontano storie estreme – per esempio L’isola è una vicenda sadomaso ambientata in un idilliaco villaggio di pescatori, Adirang è una specie di regolamento di conti con un regista che di Kim era stato aiuto e che gli avrebbe sottratto un progetto – e un mondo di vinti ed esclusi. Ma pur sempre un fatto sorprendente perché qualsiasi successo mondiale del paese, a livello sportivo o economico, artistico o culturale, viene invece celebrato dai media come prova ulteriore che la Corea gioca ormai nel campo dei grandi della Terra.

In un’intervista di pochi giorni fa, Kim e il regista giapponese Takeshi Kitano hanno detto fare cinema in Asia è assai difficile. Secondo Kim, il pubblico coreano considera i film come semplice divertimento, senza interessarsi al loro valore artistico o alla descrizione che fanno della società contemporanea. E anche se è ottimista sulla possibilità di usare Internet per raggiungere direttamente i cinefili e magari aumentarne il numero, è pessimista per quanto riguarda l’attitudine generale. Dopo aver fatto parlare molto di Pietà organizzandone la prima alla Cattedrale anglicana di Seoul e aver vinto il Leone, il successo in sala del film ci dirà se Kim è finalmente riuscito a fare breccia nel cuore del suo pubblico.

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