Vi state chiedendo come mai i giornali di carta stanno per esalare l’ultimo respiro, vi divora l’angoscia di un futuro malinconico sulla panchina di un giardino senza più lo straccio di un quotidiano o di un settimanale, vi arrovellate nella disperazione più cupa perchè non siete ancora riusciti a capire le motivazioni della crisi che attanaglia l’editoria nel suo complesso?
Tranquilli, cari, disperati, lettori. Noi, qui, vi si offrirà un motivo alto e nobile, l’unico peraltro in grado di spiegare il declino inarrestabile di un mondo che sta per scomparire: il giornalismo. O meglio: il buon giornalismo o anche il cattivo, basta capire da che parte volete sbirciare il fenomeno.
Scrivendo da una piattaforma sulla Rete, sappiamo benissimo che potremmo essere identificati come gli invidiosi di turno, quel popolo del web – come snobisticamente veniamo definiti dai «cartacei» – che deve macinare i suoi bei chilometri per accorciare il gap che ci divide dai cuginetti (per il momento) ancora più fortunati e celebrati. Ma chi scrive è figlio orgoglioso di quella carta da cui non riesce proprio a separarsi, soggiogato d’amore per quel fruscio conturbante delle pagine tra le mani che accompagna le prime ore della mattina e semplicemente schifato dall’idea di poter aprire – a quell’ora silenziosa – un insensibile computer.
Sgombrato il campo dai rosicamenti del caso, cosa resta – cari lettori – per definire in maniera acconcia la colonna sonora di un funerale di terza classe? Solo il giornalismo, l’idea che passione, competenza, curiosità, possano spingere altri come te ad appassionarsi, «costringendoli» – addirittura – a presentarsi a un edicola per comprare un giornale. Insomma, un’esigenza primaria come il piacere di saperne di più, di leggere un pezzo straordinario, di capire meglio qualche fenomeno della società.
Ebbene, dovete sapere che ho saputo tardi, troppo tardi, che la scorsa settimana avrei dovuto comprare Panorama, il celebre settimanale dai «fatti separati dalle opinioni. L’ho saputo per vie traverse, dal web (guardate voi) che rilancia un po’ tutto, dal passaparola di amici sinceri e disinteressati che mi chiamano per dirmi: «Oh, ma per caso hai letto il pezzo di Puca su Panorama?».
No che non l’ho letto il pezzo di Puca. E poi su cosa, ancora sulla politica, che palle. Macchè, mi rilanciano gli amici, è un racconto pazzesco su Scampia, lui è riuscito a infiltrarsi chissà come, racconta ciò che nessuno mai era riuscito a raccontare da dentro. Neppure Saviano.
Quando sto fuori dalle cose belle, mi girano anche un po’ le scatole. Mi sembra di stare fuori dall’apprendimento professionale, mi sembra di essere privo di qualcosa di buono per cui discutere con gli altri, confrontarmi.
In questo caso mi sono chiesto: ma come è possibile che mi sia sfuggito una perla così rara (poi ho letto, è una testimonianza travolgente). E qui torniamo all’assunto di base: il giornalismo. Perché muore il giornalismo (perché è morto si dovrebbe dire)? Eccovi serviti. Sapete su cosa ha fatto la copertina Panorama? Su un inutile, pallosissimo, supponente, John Elkann seduto alla cattedra come un professore in classe. Titolone: «I vostri studi li pago io». Intertitolo: «I giovani, la scuola, la crisi, parla John Elkann». E solo in alto un elemento in chiaro che richiama il reportage da Scampia di Carlo Puca, senza foto, nulla: «Ho fatto il camorrista 100 giorni a Scampia».
Va bè, allora avete stravinto. È giusto che chiudiamo, è doveroso che i giornali muoiano, è necessario, è inevitabile per la salvezza del pianeta. Ma evitate di raccontarci balle. E’ ancora (e sempre) la solita questione: fare bene il proprio mestiere.
P.s. Per evitare che qualcuno si metta a smanettare su internet in cerca di qualche malizioso intreccio, avverto prima di non avere alcuna cointeressenza con il Puca medesimo, autore del memorabile reportage. Non lo conosco neppure e le cose che faceva prima manco mi piacevano.