Mi consentoA lezione di comunicazione politica da Berlusconi

A lezione di comunicazione politica da Berlusconi

“Obbligato a restare in campo per fare in modo che quel che è successo a me non capiti agli italiani”. Obbligato. Parola di Silvio Berlusconi che oggi, sabato 27 ottobre, sceglie il Tg5 per annunciare che l’addio di due giorni fa può essere considerato carta straccia (anche se poi, nel pomeriggio, ha chiarito che comunque non si candiderà a Palazzo Chigi). Nel mezzo c’è stata la sentenza del Tribunale di Milano che ha condannato l’ex presidente del Consiglio a quattro anni di reclusione (superando la richiesta del pm) per frode fiscale nell’acquisizione dei diritti Mediaset e all’interdizione dei pubblici uffici per tre anni. Come scritto giustamente ieri proprio su Linkiesta, la condanna – poiché di primo grado – non impedisce affatto a Berlusconi di candidarsi. E infatti.

Ora non siamo qui ad analizzare il processo, le ragioni dell’accusa né  quelle della difesa. Siamo qui a sottolineare, sapendo in anticipo che in tanti storceranno il naso, la monumentale conoscenza della comunicazione politica da parte di Berlusconi. Sì, monumentale. È sufficiente aver letto giusto qualche paginetta di un qualsiasi Bignami dedicato al tema per capire che in politica è fondamentale guidare l’agenda, tenere i riflettori accesi su di sé. E in questo lui è ben più che un professionista, è un numero uno.

È probabile, molto probabile, a questo punto, che avesse deciso tutto a tavolino. La mossa del ritiro – cui, scusateci ma ci prendiamo un merito, noi de Linkiesta abbiamo dedicato non più di un amaro corsivo – per regalare l’idea di un buen retiro del vecchio condottiero (sì certo metteteci anche lestofante, il punto qui è un altro) ormai sconfitto. E tutti abboccano. Persino dopo un anno in cui è stato spazzato via dalla scena politica, tornato sulle prima pagine e nei telegiornali solo per vicende giudiziarie: dalla stretta di mano alla Boccassini, alle rivelazioni di Ruby sulle ormai note a tutti serate di Arcore.

Sennonché, guarda caso, all’uomo ormai in pensione viene inferto un ultimo colpo: una condanna a gioco ormai fermo. È questo il punto della strategia comunicativa dell’imprenditore che quasi diciannove anni fa stupì l’Italia dei benpensanti, dei giornalisti e di quelli che la politica la masticano e questo Paese lo conoscono meglio di altri, sconfiggendo la gioiosa macchina da guerra del “comunista” Achille Occhetto ed entrando a Palazzo Chigi.

“Sono obbligato a tornare”, dice al Tg5. Obbligato. Per riformare la giustizia. Lui contro i giudici. Come quei vecchi film di una volta, “Totò contro Maciste”. Si è ripreso la scena. Si è ripreso l’occhio di bue. E, perdonateci, del resto il regista va anche compreso. Basta dare uno sguardo su che cosa sia accaduto in questo anno. E su quale fine abbiano fatti i suoi potenziali concorrenti.

Gianfranco Fini si è dissolto come neve al sole di Montecarlo, in quella rue de la Princesse dove il cognatino con Ferrari ha reso plastica la sua inadeguatezza al comando. Chi l’ha visto l’altra sera alla trasmissione di Santoro è stato colto da un moto di sincera tenerezza, che è quanto di peggio possa accadere a un politico. Luca Cordero di Montezemolo si è consumato nell’eterno dilemma “scendo, non scendo; oso, non oso” e ha finito con l’appannare la sua, presunta, immagine di decisionista. Pier Ferdinando Casini è rimasto in sella; del mazzo è senza dubbio il più fresco, il più dotato, ma grandi passi avanti non ne ha compiuti se non nel cercare di guadagnarsi il ruolo di spalla preferita di Monti. Umberto Bossi è stato travolto dagli scandali di famiglia e ora Maroni è alle prese con una problematica ricostruzione del celodurismo. Sul resto della truppa del Pdl è meglio calare un velo pietoso. È bastato osservare lo spettacolo cui hanno dato vita in questi giorni i superstiti e le superstiti per comprendere senza il Capo non vanno da nessuna parte.

Dal punto di vista comunicativo, Berlusconi li spazza e li ha spazzati via tutti. Certo, ci sarebbe Mario Monti, ovviamente. Il candidato più autorevole per Palazzo Chigi, l’uomo che probabilmente avrebbe più chance di vincere le prossime elezioni politiche. Fin qui, però, il presidente del Consiglio ha sempre negato un suo interesse alla competizione politica. Registrando, peraltro, qualche battuta a vuoto dal punto di vista comunicativo, soprattutto in occasione dei provvedimenti sulla riduzione delle due aliquote Irpef.

E poi ci sono nemici, i “comunisti”. Chissà se non sia stato proprio il rallentamento, dovuto a qualche ingenuità, di Matteo Renzi fin qui l’unica vera novità della scena politica italiana, a indurre Berlusconi a ripensarci e a studiare questa nuova strategia. Di certo l’eventuale vittoria di Bersani alle primarie regalerebbe uno scenario classico al Cavaliere, quello in cui lui è quasi sempre andato a nozze. Vincendo tre volte, perdendo una e di fatto pareggiando un’altra. Con Renzi leader del centrosinistra i suoi spazi di manovra si ridurrebbero di molto. 

Riparte da dove si era interrotto. Dal suo punto forte. Il rapporto con la giustizia. Il punto politico che ieri, non a caso, la figlia Marina aveva sottolineato e rivendicato nell’intervista al Corriere della Sera. Probabilmente l’obiettivo è solo quello di alzare la posta, senza regalare un’uscita di scena che fa comodo a tanti. Molti margini di azioni non sembra averne. Vedremo. Vedremo innanzitutto quanto durerà questa svolta. E vedremo quanta presa avrà sugli italiani. Per ora ci limitiamo a registrare un dato di fatto: Berlusconi si è ripreso la scena politica, le prima pagine dei quotidiani, l’apertura dei telegiornali e persino gli sfottò sui social network. Non si parla che di lui. Gli altri possono inseguirlo. La comunicazione politica, che vi piaccia o no, si fa così.

p.s. La conferenza stampa ha acuito l’impressione del pomeriggio. Silvio Berlusconi ha di fatto stilato un documento programmatico, come potete leggere qui. Ha attaccato violentemente, come non aveva mai fatto prima, Mario Monti e l’operato del suo governo. È tornato pesantemente contro Angela Merkel, i magistrati (citando per la prima volta la parola “magistratocrazia”), lo Stato fiscale (ha parlato di estorsione fiscale) e altri punti tra cui l’abolizione dell’Imu. Non si candiderà, così ha detto, ma il programma lo ha definito molto  chiaramente.   

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