Si dice che Alfred Nobel non istituì il famoso premio che porta il suo nome, per la matematica, perché altrimenti il primo riconoscimento sarebbe spettato al matematico svedese, Magnus Gustaf Mittag-Leffler , con cui sua moglie lo aveva tradito. Nobel in realtà non si sposò mai, per cui alcuni parlano di un amante, altri, per quanto questa versione sia molto più affascinante da raccontare, pensano semplicemente che Nobel non fosse interessato alla matematica, troppo astratta e poco appetibile per lui che preferiva le discipline pratiche. Quest’anno però noi italiani possiamo essere fieri della medaglia per la Matematica Blaise Pascal, con la quale l’European Academy of Sciences ha premiato il matematico italiano Franco Brezzi, professore ordinario di Analisi Numerica presso la Scuola Superiore Universitaria Iuss di Pavia.
Il motivo per cui hanno scelto proprio lui è semplice: Brezzi trasforma un problema reale in formule matematiche, lo risolve grazie a calcoli più precisi e stabili e applica il risultato alla realtà. «In un certo numeri di lavori ho studiato le condizioni che garantivano l’applicabilità e il buon funzionamento di metodi per risolvere problemi di tipo ingegneristico» spiega il professore a Linkiesta «Il calcolo scientifico significa prendere un problema tradurlo in formule e poi metterlo nel calcolatore che lo risolve. Questa operazione traduce il problema in un in un algoritmo di calcolo che poi trova la soluzione. Ci sono tutta una serie di trucchi per farlo, e un metodo può andare bene per un tipo di problema ma non per altri, oppure deve subire delle leggere modifiche per essere applicato in più situazioni. Io mi sono occupato appunto, di trovare questi trucchetti, che possono essere applicati a diversi campi tra cui meccanica dei fluidi, meccanica delle strutture ed elettromagnetismo».
«Se parliamo di meccanica dei fluidi, i modelli che ho messo a punto servono per fare dei calcoli e rendere un profilo di un’auto o di un aereo più aerodinamico. O se parliamo di strutture possono servire a costruirne di più robuste. Per esempio nel crash test ci sono diversi modi per tradurre il comportamento della struttura della macchina in formule e prevederne l’esito. Facendo il calcolo meglio, guadagni un 2-3% in più di precisione. Raramente le scoperte in questi ambiti portano a dei cambiamenti epocali, ma un tassello alla volta si intraprendono nuove strade».
Il premio arriva inaspettato e lo rende molto felice, anche se non è il primo che riceve. Eppure ancora una volta afferma che molto di quello che ha ottenuto lo deve alla fortuna, che nella sua vita ha giocato un ruolo importante. Come quella volta a Parigi in cui arrivò tardi e gli capitò l’ultimo soggetto da studiare, che nessuno voleva e non avrebbe mai scelto, eppure si rivelò l’unico modo per risolvere un problema in maniera brillante. «La fortuna è un ingrediente importantissimo nella ricerca, sia per le scoperte, perché devi capitare al momento giusto, con lo stato d’animo giusto, sul problema giusto, sia per i riconoscimenti perché a volte lavori bene ma non vieni premiato». Va bene la fortuna, il “serendipity” che è un ingrediente fondamentale nella ricerca, ma la bravura sta sempre alla base di tutto.
Ora Franco Brezzi lavora presso lo Iuss di Pavia, una “Scuola Superiore a ordinamento speciale” la quarta in Italia, dove lavora anche il prof. Giovanni Bignami (Medaglia Pascal per l’astrofisica nel 2010) e forma ogni anno tantissimi ragazzi. E il suo curriculum è tutto italiano (anche se ha viaggiato molto, passando almeno due anni in maniera discontinua, sia in Francia, sia negli Usa).
Ma allora la buona ricerca in Italia si può fare? «La scelta se andare o restare dipende soprattutto dal tipo di lavoro che si fa» risponde il matematico «se servono macchinari e strumenti l’unica soluzione è andare all’estero, perché in Italia sono gli stessi di 40 anni fa. Lo stesso Cnr e molti altri enti decenni fa erano al top, erano ottimi a livello internazionale. Poi però con i tagli e senza rinnovare e investire siamo arrivati ad un punto in cui è difficile essere competitivi con chi all’estero usa strumenti di ultima generazione». Quindi sì, in alcuni casi partire è necessario. «Ma fatelo dopo la laurea» conclude Brezzi «le università italiane sono buone a livello di formazione. Altrimenti non si spiega perché un neolaureato 25enne sia già appetibile per i centri di ricerca stranieri».