Il ministro Severino non è un buon ministro. Non sul piano tecnico, peraltro inappuntabile data la sua enorme esperienza. Quanto sull’essenza politica del ruolo. Paola Severino ha per le mani una legge che scotta, quella sull’anti-corruzione. Se la gira e rigira da mesi, dividendosi ultrapazientemente tra partiti che la pensano in maniera radicalmente opposta. C’è chi vuole salvare Ruby, papi, Mubarak e quel che resta del decoro collettivo e chi insiste per un’ulteriore stretta sui mariuoli d’Italia. Che poi spesso son politici, per cui «quis custodiet custodes?»
Oggi, in un convegno a Napoli, Paola Severino ha giocato la sua carta più forte. Conoscendo la fragilità di un impianto politico, che si regge sui contrasti e non sui consensi, il ministro l’ha buttata in caciara, come si dice a Roma. E dopo aver spiegato, certo, che l’Europa, l’economia, i mercati, la collaborazione tra stati, richiedono una legge anti-corruzione al più presto, si è rivolta all’uditorio e perché suocera intenda se n’è uscita con la fatidica frase: «Perché questa legge ce la chiede tanta gente perbene!»
Basterebbe già quest’intento per non farla. Per non piegare il disegno politico di un governo a una sorta di inaudito giudizio popolare, per vivacchiare ancora qualche mese e consegnare la patata bollentissima nelle mani di un esecutivo scelto dal popolo e che al popolo risponderà.
Perché il problema, gentile ministro Severino, sta proprio nell’importanza che si intende attribuire alla «gente», a quell’indignazione dilagante, al senso di schifo che sta sommergendo tutti e tutto. Lei sente davvero la necessità di scendere a patti con questa rivolta sociale o, piuttosto, come governo tecnico, non avverte l’obbligo di un distacco emozionale certo più rischioso sul piano dell’immagine, ma doveroso su quello politico?
Perché se lei crede che oggi il popolo abbia tutta questa importanza, al punto da attribuirgli la spinta decisiva per mettere a segno una legge di questa portata, allora è preferibile ascoltare il popolo, invece che ascoltare Cicchitto o Ghedini, tanto per fare un paio di nomi a caso. Perché se davvero il popolo ha virtù taumaturgiche, beh, allora è il caso di capirle meglio le esigenze reali dei cittadini italiani.
Se avesse, appunto, un ruolo non marginale, sa per esempio cosa le domanderebbe il popolo, ministro Severino: come mai nell’impianto di questa legge non è previsto il falso in bilancio? Lo raccontava, con dovizia di particolari l’altra sera a “Otto e mezzo” Giulia Bongiorno, che presiede alla commissione Giustizia della Camera. Raccontava di un muro molto alto eretto dai muratorini del Pdl. Spiegava, sempre la sua collega avvocato, che Lei avrebbe ceduto sul punto, ripromettendosi di presentarlo in un altro provvedimento ad hoc. Ma gentile ministro, si rende conto che tra un paio di mesi o poco più dovrete sgommare per raggiunti limiti istituzionali?
Insomma, non è bello evocare la forza dei cittadini, le loro aspettative, ciò che il popolo si aspetterebbe dai governi, solo quando ci si sente un po’ fragili e si ha la necessità del consenso (in questo caso non voti, ma supporto morale). Noi cittadini non vogliamo essere tirati per la giacchetta. Se lo fate, assumetevi anche la responsabilità di ascoltarci.