Lo slogan della campagna di Hugo Chávez – “Chávez, il cuore della gente”- sembra promuovere l’immagine di un amore paterno, ma i discorsi elettorali del presidente venezuelano spesso mostrano il lato più bellicoso dell’ex comandante di carri armati.
“All’attacco!” ha gridato il leader socialista lo scorso fine settimana, davanti a una folla di sostenitori ruggenti che ha definito come la sua “cavalleria”, esortandola a rieleggerlo la prossima domenica. “Mai più sarete governati da questi perdenti, la borghesia” . Ha aggiunto Chavez, definendo come “fascista” il candidato dell’opposizione Henrique Capriles.
La retorica incendiaria di mister Chávez non può, però, combaciare con gli slogan “pace e amore” di João Santana, il suo esperto brasiliano di pubbliche relazioni che ha assicurato nel 2006 la rielezione di Luiz Inácio Lula da Silva, presidente uscente del Brasile e nel 2010 la vittoria del suo successore Dilma Rousseff.
I sondaggi sull’elezione del presidente del Venezuela, preannunciano una lotta stretta che potrebbe mettere fine alla “rivoluzione boliviana” di Chávez, dopo 14 turbolenti anni. Anche Capriles si è rivolto a due spin-doctors brasiliani, Renato Pereira e Francisco Mendez che lo hanno aiutato a definire la votazione come una battaglia tra Davide e Golia.
Nel frattempo, il 58enne Chávez ha ricercato “porta a porta” il voto giovane, contrastando l’attrazione del frizzante rivale 40enne. Sorprendenti murales del presidente venezuelano che dichiara di avere superato un cancro, rivestono i muri dei quartieri poveri, raffigurandolo mentre impenna su moto o balla musica hip-hop.
L’inceretezza dell’esito ha posto molte domande: cosa potrebbe succedere se i risultati del voto fossero contestati? Quale potrebbe essere, in tal caso, il ruolo dell’esercito, dei militari “chavisti e delle potenze vicine come il Brasile? Chávez ha spesso descritto la sua rivoluzione come “pacifica, ma armata” e ha detto che potrebbe scoppiare una guerra civile in caso di una sua sconfitta.
I timori che l’esercito rivorrebbe Chávez, se non dovesse accettare la sconfitta, sono stati parzialmente alleviati il mese scorso. Il generale Wilmer Barrientos, comandante operativo dell’esercito per le elezioni, ha assicurato che la sua è “un’istituzione altamente professionale” che vorrebbe rimanere “fedele alla Costituzione e rispettare la decisione del popolo”.
“L’esercito è stato sottoposto a forti pressioni [da parte di Chávez], e l’alto comando è chiaramente politicizzato … ma la maggior parte si è impegnata per la democrazia”. Lo ha detto Rocío San Miguel, un’attivista anti-Chávez che dirige i guardiani del “Citizen Contol”, gruppo che si occupa delle questioni di sicurezza nazionale. A San Miguel preoccupa maggiormente la forza dei125 mila militari della Milizia Nazionale Boliviana che sorveglierà le elezioni per garantirne la stabilità e che potrebbe sembrare il “braccio armato della rivoluzione”.
Le milizie urbane non ufficiali che professano fedeltà a Chávez sono una forza imprevedibile e pericolosa, specialmente in un Paese fortemente polarizzato dove circolano circa 12 milioni di armi illegali e dove regna l’impunità e uno dei tassi di omicidi più alti al mondo. All’inizio dell’anno l’International Crisis Group ha avvisato che i politici potrebbero trarre vantaggio dai vigilanti ‘coperti da bandana’ per attizzare disordini o che gli stessi potrebbero “scendere in piazza per conto proprio”.
Il governo sostiene che il pericolo proviene dall’altra parte. Secondo Miguel Angel Pérez Pirela, importante commentatore della tv di stato, “diverse cose indicano che l’opposizione ha un piano violento”. Questo perché Capriles non ha detto che accetterà incondizionatamente i risultati delle elezioni. “Il problema è che – continua Pérez Pirela – esiste una piccola parte dell’opposizione, sostenuta dagli Stati Uniti, che ha un sacco di soldi e di interessi e che in passato ha fatto ricorso alla violenza e a colpi di stato”. Ed è lo stesso gruppo che sta cercando di assumere il potere adesso.
San Miguel, però, esclude la guerra civile in Venezuela. “Per avere una guerra – ha dichiarato – si ha bisogno di due forze capaci di dominare il territorio”. E, per lui, l’unica forza in grado di farlo è l’esercito, ma è improbabile che possa dividersi. Non è mai successo in nessuno dei colpi di stato precedenti. “Dubito – ha concluso – che si possano verificare gravi disordini pubblici.”
(traduzione di Stefania Saltalamacchia)