Non ho dubbi che quando gli è arrivata sulla scrivania la e-mail di un famigerato gruppo (eversivo) denominato «Cielobuio», in cui una pattuglia di «emo» travestita da società civile gli prospettava di spegnere completamente le città al calar delle tenebre, il Professore sia scattato i piedi entusiasta come non l’avevano mai visto, la faccia illuminata di un bambino di fronte a una supertorta di cioccolato. «Ci siamo!», ha urlato Monti ai suoi stretti collaboratori, increduli per quella foga poco bocconiana, «la società civile ha finalmente apprezzato il senso della mia opera, devo immediatamente chiamare mia moglie Elsa. Pensate come sarà bella Milano totalmente buia…»
Se era necessaria una conferma sulla visione depressiva della società da parte del nostro capo del Governo – ma francamente non lo era – adesso ne abbiamo la certezza persino istituzionale. All’interno del pacchetto che compone la Legge di Stabilità, che comprende una decina di punti fondamentali, cosa ci ha piazzato il nostro premier? Un regolamento che mette in sicurezza la nostra (residua) allegria oltre che «gli standard tecnici delle fonti di illuminazione» e che disciplina le «misure per la moderazione del loro uso», anche «con lo spegnimento o il loro affievolimento, anche in modo automatico, durante tutte o parte delle ore notturne».
In buona sostanza, il coprifuoco di bellica memoria.
Non si poteva certo pretendere che da uomini di una tristezza epocale come Monti, Passera, Riccardi, Patroni Griffi, Grilli, Balduzzi, Ornaghi e altri (salviamo le donne che appaiono invece un filo più toniche), l’idea dello stare insieme collettivo nelle nostre città potesse avere una traduzione immediata nell’esplosione di led e di neon, e dunque toccherà per prima a Torino ripensare quella meraviglia delle «Luci d’artista» che da anni animano l’inverno sabaudo. Né ci sfugge l’ovvia buona intenzione di una razionalizzazione dei costi, dal momento che spendiamo, come al solito, più di altri Paesi europei. Ma non c’erano davvero altre forme di risparmio, anche più evidenti delle luci metropolitane?
Guardate solo al linguaggio usato e capirete il pessimismo cosmico che muove le anime, loro sì buissime, dei signori del governo: «…moderazione del loro uso…lo spegnimento o il loro affievolimento». Ecco, Affievolimento. Parola chiave. Perfetta. Impeccabile. Anche il dizionario sembra deprimersi nella spiega: «Indebolimento, attenuazione…» C’è qualcosa di più triste, pessimista, laconico di “affievolimento”? Sembra che il nuovo giorno non debba nascere più.
Anche nelle nostre case proviamo a razionalizzare. Non di rado in conflitto con i figli che “tengono sempre tutto acceso». Tra quattro mura, la luce rappresenta quasi sempre uno stato d’animo e generalmente la privatezza di una condizione, com’è quella di un salotto, di uno studio o di una stanza da letto, porta naturalmente ad abbassare il tono, a battere nuove vie, mischiando forme diverse di luce sino a ottenere la giusta miscela interiore.
In città cambia praticamente tutto. Non è solo un certo senso di sicurezza a essere in discussione – è elementare che città ben illuminate danno più conforto e allontanano pure qualche pericolo – ma anche proprio il piacere sottile di «vedere» una città, di scoprirla, di esserne parte attraverso la luce. Una luce sperabilmente intelligente, ben calibrata, la cui diffusione non sia affidata soltanto a zelantissimi impiegati comunali, ma condivisa con persone che possano immaginarne un uso diverso, più caldo, più avvolgente, e perché no, persino più tranquillizzante.
Grazie a questo governo, fa ufficialmente il suo ingresso nelle nostre vite la depressione istituzionale. Tempi grami, per non dire bui, per chi vorrà essere allegro in città. Anche Chaplin versa la sua lacrimuccia.