Di chi ci fideremo se anche i ciccioni delinquono?

Di chi ci fideremo se anche i ciccioni delinquono?

È forse arrivato il momento, assai doloroso, di rivedere quel concetto antico e rassicurante, secondo cui una certa, umana, pinguedine poteva associarsi a un evidente sentimento di bontà nelle cui mollezze placidamente abbandonarsi?

Dobbiamo amaramente registrare, secondo le cronache di questi ultimi mesi, un deciso cambio di passo estetico-sociale, che forse sottende anche a una qualche evoluzione lombrosiana. Sta di fatto che cittadini perbene, di diversa estrazione, nell’intercettare appena la foto di uno di questi “tangheri” da quattro (ma anche otto) soldi non abbiano un secondo di dubbio nel definirli per quel che meriterebbero: «Ma hai visto che soggetto, uno così si vede lontano un miglio che è un disonesto».

Un tempo, uno così bello paciarotto non lo avremo bollato subito con questa determinazione. E forse è ancora possibile sostenere che ogni immagine, ogni forma fisica, ogni faccia, ogni pancia, non darebbe esiti così negativi se non associata a una storia personale e criminale, per cui l’unione di due opposti (pancia rassicurante, inchiesta molto poco rassicurante) porta a concludere che l’uomo ciccione è entrato a far parte – almeno nell’immaginario collettivo – della banda dei disonesti. Almeno come categoria estetica.

E chissà se esiste ancora quella differenza – che allora sì segnerebbe una separazione – tra rubare in salotti dorati, in mezzo alle scrivanie politiche, nei corridoi delle Regioni e quell’altra attività, anch’essa assai poco lusinghiera ma almeno più faticosa, di rubare con l’agonismo e la ginnastica che un certo mestiere criminale di strada richiede, ricordando che gente famosa, abituata a fughe, sparatorie, inseguimenti, doveva mantenere (almeno) un’invidiabile forma fisica. E scorrono nella memoria le immagini di segaligni memorabili, come il solista del mitra, Luciano Lutring, o il bel Renè, al secolo Renato Vallanzasca, o per uscire dalla Lombardia messa a ferro e fuoco, ricordarci del minuscolo e terribile Felice Maniero che al fisico minuto associava l’eleganza ricercata del parvenu.

Insomma, anche il crimine sembra paradossalmente indicare che la casta a suo modo non è mai satolla visto che continua a ingoiare fondi, e ne offre plasticamente l’immagine attraverso una pinguedine che ormai possiamo definire lombrosianamente sospetta.

Questa non è assolutamente una buona notizia per noi poveri mortali che tendiamo – non in maniera così smaccata sia chiaro – a una certa qual rotondità, che in fondo negli anni abbiamo anche coccolato, credendo ingenuamente potesse corrispondere a un altrui sentimento di fiducia. Al fondo, nessuna immagine estetica, ormai, può ricondursi a un sentimento certo e definito e non è detto che questa evoluzione sia necessariamente un male. Diffidare anche dei «pancioni» ci porterà a una consapevolezza nuova, pensando che chi ha troppi chili sulla coscienza ha sicuramente qualcosa da nascondere.

Da questa visione del mondo è necessario preservare le donne che, guarda caso, delinquono meno degli uomini, ciccione e segaligne senza differenza. Vi ho scritto in altra sede che le considero moralmente superiori, ma so che questo discorso ci porterebbe troppo lontano e dunque lo chiudo qui.

A voi, cari lettori, auguri di buona minestrina. Da stasera, un sano e controllato digiuno ci monderà la coscienza. 

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