PARIGI – È in aumento la pressione sul presidente François Hollande. Nel dibattito, sempre più aspro, su come ripristinare la competitività in declino del paese, le maggiori società francesi chiedono un taglio di 30 miliardi di euro del costo del lavoro, riducendo gli oneri sociali, nel giro di due anni.
In una lettera aperta – che sarà consegnata oggi – si sono rivolti a lui anche i vertici di società elencate nell’indice borsistico Cac 40. Chiedono l’abbattimento della spesa pubblica di 60 miliardi (o il 3% del Pil) in cinque anni. «Con la spesa record del 56% del Pil, abbiamo raggiunto il limite di ciò che è tollerabile», dicono.
La decisione di questi grands patrons di uscire allo scoperto è frutto di una grande preoccupazione: cioè che venga ignorata, o attuata solo in parte, la relazione sulla competitività di Louis Gallois, ex capo del gruppo aerospaziale Eads. Il report, molto atteso, è previsto per la settimana prossima.
All’inizio, quando nel luglio scorso Hollande gli aveva commissionato la relazione Gallois aveva invocato «una scossa nella competitività», cioè un taglio pesante degli altissimi costi del lavoro. Ma Hollande e i suoi ministri hanno risposto che preferirebbero usare l’espressione «traiettoria per la competitività», o «patto». Scatenando timori nel mondo degli affari sulla velocità delle riforme. Il ministro delle finanze Pierre Moscovici ha aggiunto ieri che «non si può ridurre il carico del welfare sui datori di lavoro con la bacchetta magica. È una cosa che va fatta nel corso dei cinque anni della presidenza Hollande».
Ma dirigenti di industrie sempre più in difficoltà, come Philippe Varin della Peugeot, sostengono che le esportazioni francesi stiano crollando proprio a causa del carico dei costi del welfare, che va a pesare sulle società. In Francia, secondo le stime di Eurostat, i salari orari nelle fabbriche sono il 20% più alti che nella media del resto dell’eurozona.
Nella loro lettera aperta, pubblicata ieri su Le Journal du Dimanche, la Afep (Associazione Francesi degli imprenditori privati), spiega che il taglio di 30 miliardi di euro che richiedono dovrebbe per metà derivare da una spesa pubblica più bassa, e l’altra metà da un aumento dell’Iva. L’Afep rappresenta gli amministratori delegati di 98 delle più grandi società francesi. Molte di queste figurano nel Cac 40.
Dal canto suo, il governo teme che spostare in modo così deciso il peso della spesa per il welfare sulla tassazione diretta andrebbe a colpire i consumatori di fascia bassa e media, spingendo l’economia, già stagnante, dentro la recessione. Non solo: nel caso di società come la Peugeot, la settimana passata, lo stato è dovuto intervenire in loro soccorso garantendo 7 miliardi per la sua finanziaria in crisi. Queste società, sostiene il governo, hanno difficoltà a competere a causa di loro limiti negli investimenti e nell’innovazione.
Hollande preferirebbe investire di più in piccole e medie imprese, e ripone le sue speranze nei negoziati tra sindacati e società, per raggiungere un accordo sulla flessibilità del mercato del lavoro in stile tedesco. Al suo fianco si è schierato, nel fine settimana, anche Louis Schweitzer, ex amministratore delegato della Renault, che ha ricordato come le riforme del lavoro dell’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder abbiano avuto bisogno di dieci anni per mostrarsi efficaci. «Non si possono cambiare le cose da un giorno all’altro», ha aggiunto. E le riforme strutturali del lavoro saranno sull’agenda di oggi, quando Hollande si incontrerà con i vertici delle organizzazioni internazionali. Tra queste ci sarà l’Fmi, la Banca Mondiale, l’Oecd e il Wto.
L’Afep, a parte, ha chiesto al governo Hollande di togliere il divieto allo sfruttamento di shale gas in Francia. L’industria pesante nazionale non riesce a tenere il passo degli Stati Uniti, che gode di costi per l’energia molto più bassi proprio grazie all’accesso a forniture di gas meno care.
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*tratto da Financial Times, 29-10-2012