I malati di Sla in sciopero della fame contro il governo Monti

I malati di Sla in sciopero della fame contro il governo Monti

Alberto Damilano è medico. Piemontese, di Fossano in provincia di Cuneo. Ha 57 anni e da tre convive con la sla, la sclerosi laterale amiotrofica. Questa malattia, detta del motoneurone, perché è proprio il suo “impazzimento” a causarla, non è guaribile. Fa perdere progressivamente l’uso degli arti e poi priva della parola. Ma non della lucidità mentale. In Italia sono circa cinquemila i malati in queste condizioni. Non è una stima precisa perché non c’è un registro nazionale. Da quattro giorni Damilano, che è all’ultimo stadio della malattia, vive a letto e ha la tracheotomia (respira attraverso un supporto artificiale), assieme ad una sessantina tra malati di sla e disabili gravi è in sciopero della fame. Ogni giorno pubblica un video sul suo profilo facebook che ne documenta la condizione di salute.

Il più famoso malato di sla a livello mondiale è il fisico Stephen Hawking, che ha compiuto settant’anni proprio nel 2012. Nella nuova giunta della Regione Lombardia il posto di assessore alla salute lo ricopre Mario Melazzini, anch’egli medico, malato di sla, fino alla nomina a Palazzo Lombardia presidente dell’Aisla, associazione che si occupa dei malati di sclerosi laterale amiotrofica, nonché di Arisla, un’agenzia di ricerca in cui sono coinvolte anche Telethon e la Fondazione Vialli e Mauro.

I malati in sciopero della fame fanno capo al Comitato 16 novembre, sono in rotta con associazioni come la Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap) e si dicono intenzionati a sfilare al No Monti day di oggi, 27 ottobre. Accusano il governo di averli dimenticati. Tre le richieste che fanno ai ministri competenti: il ripristino del fondo per la non autosufficienza per un importo non inferiore ai 600 milioni. Di questi, 500 milioni dovrebbero andare alle persone affette da grave invalidità. Infine, chiedono 20 mila euro all’anno per le persone con malattia degenerativa progressiva, bisognosi di assistenza ventiquattro ore su ventiquattro.

Viva la vita onlus è l’altra grossa associazione italiana che si occupa di sla. Abbiamo chiesto al presidente, Mauro Pichezzi, di aiutarci a fare chiarezza sulla condizione di questi malati.

Condivide le ragioni di questa protesta?
Sì le condivido, ma Viva la vita ha deciso di non aderire a una iniziativa presa in modo personale e spontanea da alcuni malati. Non sono contrario, ma non sono d’accordo con il metodo che mette a repentaglio la vita degli ammalati. Questi, disperati, non hanno più fiducia nemmeno nelle associazioni di riferimento. Che, invece, possono fare ancora molto per loro…L’azzeramento del Fondo per la non autosufficienza è un fatto come è un fatto che in questo momento di crisi economica i più deboli, gli ultimi della società sono in una situazione gravissima e stanno pagando il prezzo più alto.

Di che cosa ha bisogno un disabile grave come un malato di Sla?
Un malato di Sla nella fase avanzata della malattia ha bisogno di un’assistenza 24 ore su 24: è a letto, non può muoversi, per comunicare usa un computer apposito che traduce i movimenti dei suoi occhi in parole. Capisce che una famiglia che si ritrova un parente in questa condizione ha bisogno di un supporto forte che si traduce anche in un costo in termini economici?

In quanto è stimato questo costo?
Tra i dodicimila e i quindicimila euro al mese a malato.

Chi li copre?
In alcune regioni di Italia, come l’Umbria o la Lombardia si è preferita la strada dell’assegno di cura. A seconda del reddito e della gravità della malattia la regione eroga un voucher che può andare dai 500 ai 2 mila euro (in Lombardia è stato appena rifinanziato con una delibera che attinge dai fondi ministeriali per la non autosufficienza del 2011, 15 milioni per la Lombardia, ndr). Ma questo metodo è secondo noi un succedaneo rispetto a un’azione organica di sostegno integrato al malato di Sla e alla sua famiglia.

Che cosa vuol dire?
Che in questo momento in cui molte regioni italiane devono risparmiare sulla sanità perché sono in Piano di rientro bisogna costruire una cabina di regia unica di risorse e finanziamenti. Per evitare che, una volta finiti i soldi o tagliati, i malati non ricevano più nulla. I vari soggetti coinvolti nella cura del malato di Sla, pubblici e privati, devono parlarsi tra di loro e non sovrapporsi. La regia deve essere affidata al servizio sanitario nazionale. Dal gennaio del 2012 stiamo portando avanti un progetto sperimentale con la Asl Roma A e il Centro Sla del Policlinico Umberto I: 35 le persone che vengono seguite in questo modo.

Quale il risultato più importante di questo tipo di sperimentazione?
A livello nazionale solo il 20% dei malati di sla al quarto stadio della malattia (D) sceglie di essere aiutato nella respirazione dalla ventilazione artificiale. Secondo i dati di Viva la vita onlus nella Asl di Roma A sono il 50 %. Questo perché i malati non accettano l’intervento di tracheostomia per non gravare per anni sulle famiglie che non hanno in molti casi il supporto dei servizi sanitari regionali. I pazienti della Asl Roma A sanno di poter contare sul supporto della Asl a domicilio. Questo può aiutare la famiglia a condurre una vita il più regolare possibile.

È un modello che potrebbe essere esteso a tutto il territorio nazionale?
Certamente, ma solo se si affronta in modo organico la questione, con una integrazione tra servizio sanitario e sistema sociale: i costi mensili di assistenza al malato possono scendere fino a sotto i diecimila euro al mese. Però ci sono regioni che non hanno ancora erogato un euro dei cento milioni del sostegno sociale su cui nel novembre 2010 abbiamo fatto una vera e propria battaglia. C’è poi la questione dei supporti e degli ausili: i fondi per l’acquisto dei sintetizzatori vocali, necessari al malato di sla per comunicare sono ancora quelli del 2007, ottenuti con il ministro della salute Livia Turco. Ma il comunicatore non è ancora nel nomenclatore tariffario, non è ancora un livello essenziale di assistenza.

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