Il Brasile ha avuto il suo “boom” nel 2010, quando è cresciuto addirittura del 7,5%. Andamento opposto a quello delle potenze del G7 che, alle soglie della crisi, avevano fatto registrare cinque punti in meno nel proprio tasso di sviluppo rispetto al Paese sudamericano. Una crescita consistente, nata probabilmente dalla raggiunta consapevolezza che 190 milioni di cittadini produttivi fossero un enorme potenziale per gli anni a venire. Ma il Paese crescerà ancora? Dopo aver conquistato il sesto posto nella classifica delle potenze mondiali (scalzando la Gran Bretagna) ci sarà un boom simile a quello del 2010? Nel 2011 e in questi mesi del 2012, infatti, il Brasile è cresciuto in maniera decisamente minore e il rallentamento del suo processo di sviluppo non è passato inosservato.
Massimo Ricottilli, docente del Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Bologna, evidenzia proprio questo “stop”: «È vero che il Brasile è cresciuto del 7,5% nel 2010, ma in questo momento si è già leggermente fermato e quest’anno dubito che replicherà quell’incredibile risultato. Il problema più grande? Il reddito pro capite di 12 mila dollari appare molto alto, ma si tratta di una media poco indicativa, in quanto c’è grande disuguaglianza in materia di stipendi». Il fattore che ha scioccato maggiormente gli analisti è il sempre vivo divario economico tra il nord-est e il sud-ovest del Paese: la prima area appartiene al “Quarto Mondo”, in quanto piantagioni e latifondi sottolineano un retaggio coloniale probabilmente destinato a durare; la seconda è invece molto sviluppata dal punto di vista dell’agricoltura e dell’industria e presenta un’economia molto vitale. «Questa composizione così eterogenea – spiega Ricottilli – crea ostacoli non indifferenti alla crescita». Da quando la Cina, principale partner commerciale, ha iniziato a crescere con un tasso inferiore, anche il Brasile ha rallentato, proprio perché molte aziende cinesi avevano iniziato a investire qui. «Il Brasile – conclude Ricottilli – resta però la potenza egemone dell’America meridionale, con un’industria manifatturiera all’avanguardia».
Perché non bisogna dar troppo credito alla stima del reddito pro capite? Perché dietro a quella media si nascondono redditi faraonici e redditi da fame. A dispetto di metropoli come San Paolo o Rio de Janeiro sopravvivono le cosiddette favelas, le famose baraccopoli situate nella periferia delle grandi città. Un neo perché in queste aree si trovano abitazioni costruite con materiali scadenti e perché qui – dove sono cresciuti alcuni tra i più grandi calciatori di sempre – povertà, criminalità e mancanza di igiene sono i problemi dominanti. Alla povertà di queste e altre aree del paese, in ogni caso, il governo brasiliano ha da tempo risposto con misure di assistenza sociale ed economica. Quello del 2010 – come racconta Chiara Vangelista, docente di Storia dell’America Latina presso l’Università di Genova – non è stato infatti il primo boom brasiliano di tutti i tempi. Se però i tentativi di sviluppo del Paese non hanno mai portato a una concreta ridistribuzione della ricchezza, con la presidenza di “Lula” prima e con quella di Dilma Rousseff poi, è stato avviato un sistema di aiuti finanziari alle famiglie meno abbienti. «Questa forma di assistenza – spiega la professoressa Vangelista – è garantita soltanto alle famiglie che mandano i propri figli a scuola. Venti-venticinque anni fa, infatti, i semplici aiuti in denaro alle famiglie non promuovevano la crescita generale del Paese, mentre oggigiorno, grazie all’idea dell’obbligo scolastico come requisito per poter ricevere gli aiuti dallo Stato, si scommette sul futuro di tutti i giovani brasiliani».
Il Brasile, da vera potenza emergente, ha erogato ben 75mila borse di studio per dottorandi e ricercatori. Si tratta del progetto “Scienza senza frontiere”, promosso proprio dalla presidentessa brasiliana Dilma Rousseff. Un’iniziativa che ha coinvolto anche l’Italia, in particolar modo l’Università di Bologna. «Nel nostro ateneo – spiega Roberto Vecchi, professore di Letteratura portoghese e brasiliana – abbiamo l’opportunità di confrontarci con il futuro dell’industria brasiliana. Un giorno, infatti, molti degli studenti che arrivano a Bologna guideranno lo sviluppo del Brasile».
Tra poco tempo, in ogni caso, verrà spontaneo definire il Brasile “caput mundi”. Nel 2014 sarà la sede dei campionati mondiali di calcio e nel 2016 ospiterà le Olimpiadi, che si svolgeranno a Rio de Janeiro. Un investimento importante per aprire gli occhi del mondo a un colosso spesso sottovalutato. «È l’occasione – specifica Juary, brasiliano doc ed ex calciatore di Inter e Santos – per dimostrare che il Brasile non è più un paese del Terzo Mondo, soltanto dedito alle feste e al divertimento. Siamo un Paese in crescita, un Paese di grandi lavoratori». I due eventi sportivi – sostiene Juary – creeranno molti posti di lavoro: «Grazie a queste due manifestazioni anche la gente più povera otterrà un impiego nella costruzione degli impianti e nel turismo. Siamo sulla strada giusta. Il nostro obiettivo? Far scomparire immagini negative per il Brasile come le “favelas” e continuare a progredire verso una completa convivenza civile».
Bisognerà però capire se ai Mondiali del 2014 e alle Olimpiadi del 2016 seguirà un lungo periodo di benessere o se ci si troverà di fronte a un nuovo periodo di crescita, destinato però a chiudersi alla fine delle manifestazioni sportive. «Purtroppo dubito che la costruzione di stadi darà un importante scossone all’economia», commenta la Vangelista. «La costruzione di un’autostrada crea posti di lavoro, ma è utile anche ad eventi sportivi terminati. Impianti sportivi e alberghi, invece, hanno un ritorno economico limitato ai periodi delle gare». Se quindi gli stadi avranno una certa utilità soltanto nel periodo delle manifestazioni, la costruzione di strade e ferrovie sarà di fondamentale importanza per il Brasile.
Due, per l’appunto, sono i maggiori nodi da sciogliere prima dell’inizio delle due rassegne: sicurezza e trasporti. L’afflusso di tifosi da tutto il mondo e dai quartieri più disagiati del Paese potrebbe creare qualche problema all’ordine pubblico. «In questo senso – assicura Massimo Ricottilli – il governo brasiliano ha fatto e sta facendo ingenti sforzi». Resta, però, il secondo punto da chiarire: la rete dei trasporti. «Il trasporto aereo – afferma Ricottilli – è molto sviluppato e, dopo il fallimento della Varig nel 2006, molte nuove compagnie aeree sono salite in cattedra. Il problema è rappresentato dalle ferrovie, difficili da costruire e comunque ancora inadeguate». Completare la rete ferroviaria brasiliana, che ora si estende per circa 30mila chilometri, sarà uno dei più importanti passaggi per la crescita. Si consideri infatti che la Foresta Amazzonica si trova per il 65% della sua estensione proprio in territorio brasiliano e costruire linee ferroviarie in quelle aree significherebbe soffocare il “polmone” del mondo. In quelle zone – e più precisamente nei pressi del fiume Xingu – vivono quei circa 20 mila indios che hanno protestato contro la costruzione della cosiddetta diga di Belo Monte. Un’opera che sradicherebbe 500 chilometri quadrati di foreste e che costringerebbe le popolazioni indigene a lasciare la loro terra. «Negli anni Sessanta – racconta Chiara Vangelista – si diceva che, visti i frequenti periodi di siccità nel nord-est del Paese e l’incapacità nella conservazione delle precipitazioni, sarebbe stato necessario costruire molte dighe. Con il passare degli anni, però, è stata rilevata l’entità dei danni che l’ambiente avrebbe subito e si è anche capito che sarebbe stato impossibile far spostare così facilmente le popolazioni di quelle zone». Quale sarà la sfida più importante per il futuro prossimo del Brasile , allora? «Sviluppare sì i propri trasporti e aiutare gli indios a progredire, ma cercando di limitare i danni al proprio patrimonio naturale».