Il nubifragio che non c’è stato e la dittatura dell’ansia

Il nubifragio che non c’è stato e la dittatura dell’ansia

Giusto due cose su ciò che NON è successo a Roma. Chi aveva responsabilità politiche – il sindaco Alemanno, il capo della Protezione Civile, Gabrielli – oggi si mostra contento e soddisfatto perché NON è successo niente di particolarmente grave. In linea puramente teorica, i due avrebbero assolto al principio di responsabilità. Nella realtà, hanno svolto piuttosto male il loro lavoro.

La città di Roma, sin dal giorno precedente all’arrivo di Cleopatra, ha vissuto in una dittatura dell’ansia, preda di comportamenti non riconducibili alla piena autoderminazione di cittadini consapevoli, ma pesantemente condizionata dagli allarmi «epocali» che erano stati diffusi dalle autorità. Che si spingevano sino a consigli estremi, come quello di tapparsi in casa se non ci fossero stati motivi di forza maggiore.

Qui stiamo parlando di lunedì mattina, primo giorno della settimana, quando un’intera metropoli si sposta per portarsi sui luoghi di lavoro e di studio. A chi era rivolto questo appello, a un gruppo di simpatici milionari che possono svegliarsi con tutta calma alle undici mattina, dovendosi arrovellare nel dubbio se continuare a poltrire o farsi una ricca colazione al bar con briochina?

Scrive il metereologo Luca Mercalli sulla Stampa e già il titolo dovrebbe far pensare, “Troppi codici rossi, così non ci crederà più nessuno”: «Il fronte temporalesco di ieri poteva ragionevolmente classificarsi a un livello moderato, un arancione, ovvero non al massimo grado se comparato con altri recenti episodi disastrosi, quali le alluvioni venete del novembre 2010, il nubifragio delle Cinque Terre del 25 ottobre scorso o quello su Genova del 4 Novembre 2011. I comunicati, quindi, dovevano attirare l’attenzione su uno stato di vigilanza attiva delle persone e di preparazione degli organi di manutenzione e di pronto intervento. Creare aspettative così inquietanti non era giustificato per tale categoria di evento». Mercalli conclude richiamando il famoso «al lupo al lupo: al prossimo codice rosso chi crederà più ai bollettini?»

D’accordo, è sempre facile parlare dopo, quando NON è successo quasi niente. Ma la portata degli allarmi lanciati prima era di tale portata ansiogena, che oggi non è possibile lasciar cadere impunemente la questione. E sarà anche il caso di mettere sul piatto le professionalità, visto che in questo caso le competenze sono chiare. Per dirla con chiarezza, qui la vera delusione è Gabrielli, il capo della Protezione Civile. Toccava a lui trasferire al sindaco l’equilibrio necessario per una saggia comunicazione alla cittadinanza. Mentre invece la paura di Alemanno, scottatissimo dalla neve, sembra aver contagiato anche Gabrielli.

Il quale Gabrielli oggi, a cose fatte, se la prende con «i professori del giorno dopo. Noto che tutti i censori parlano sempre dopo, neppure uno che abbia parlato prima. A Roma c’è stata una tromba d’aria sulla costa, fosse avvenuta più dentro il territorio non saremmo qui a fare queste considerazioni».

Rimane, al fondo della questione, un vero problema di comunicazione, quel fondamentale momento in cui le istituzioni intendono trasferire ai cittadini informazioni sensibili, al di là – persino – di quello che potrà o non potrà succedere. I cittadini non possono sentirsi privati della loro libertà, devono avere anch’essi una percezione reale di rischio, essere portati per mano in un territorio consapevole. Commissariare una città è un atto grave, che comporta motivazioni inoppugnabili.

La paura preventiva, che modifica alla radice i modi di vivere, non è da paesi civili.

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