Sarà la volta buona per diventare un’azienda “normale”? L’assemblea degli azionisti di Rcs che si è tenuta oggi a Milano lascia la domanda aperta. Le perdite a bocca di barile – oltre 700 milioni – impongono una severa ristrutturazione del gruppo che pubblica il Corriere della Sera. Il nuovo piano industriale, ha detto in assemblea il nuovo amministratore delegato Pietro Scott Jovane, arriverà a metà dicembre, mentre l’aumento di capitale è nel limbo: se ne riparlerà dopo l’approvazione del piano. Sullo sfondo i gruppi finanziari e imprenditoriali azionisti di Rcs studiano le mosse per difendere le loro posizioni di potere sul primo quotidiano italiano o per conquistarne di nuove. Ma perché questa “ossessione”, che contagia anche i giornalisti? Quale è oggi il peso reale del Corriere nell’influenzare l’opinione publica? Sono domande che ci hanno posto i lettori de Linkiesta, nei commenti ai nostri articoli e per email. Stavolta abbiamo scelto di girare la domanda a cinque importanti giornalisti che da anni seguono le principali vicende finanziarie e di potere del nostro Paese.
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Franco Bechis, Libero
Anche in un mondo dove la televisione raggiunge molta più gente, e i nuovi media sono sempre più pervasivi, la carta stampata resta per ora opinion leader nella classe dirigente. È per questo che Rcs è ancora uno dei principali centri di potere nazionale: meno di un tempo ma tuttora influente. Il gruppo ha diverse attività (libri e mille altre testate) ma chiaramente è il Corriere della Sera che ingolosisce e conta. È un giornale con la sua storia, il suo prestigio, una presenza su tutti i canali di comunicazione nuovi (internet, social network), una ricchezza del parco collaboratori. Questo fa sì che un commento sulla politica venga vissuto come un giudizio particolarmente importante dalla politica stessa, o un fondo su vicende imprenditoriali possa risultare decisivo. Essere fra i grandi azionisti del Corriere, quindi, torna utile? Di per sé, se non sei tu il comandante, o comunque se non rientri nel gruppo ristretto che prende le decisioni, conta poco: è più mitologia che altro. Da questo punto di vista, c’è sicuramente una sopravvalutazione del peso del Corriere, senza dimenticare che, visti i ritorni, è un costo finanziario non indifferente per chi si avventura per questi lidi. Detto questo, se sei fra gli azionisti, certamente non ti guarderanno male, chiunque sia il direttore: è chiaro che stare lì in qualche misura ti protegge, e puoi ricevere qualche attenzione in più.
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Filippo Buraschi, Mf-Milano Finanza
Rcs, e il Corriere della Sera in particolare, sono sempre stati il crocevia del capitalismo italiano, un’enclave chiusa e inattacabile, come dimostrano i vari tentativi di ingresso e scalata dall’esterno sempre respinti, e con metodi non sempre market friendly. Per i giornalisti, quindi, è sempre stata manna dal cielo: nuove amicizie e alleanze, scontri, tentativi di scalata, accordi e contro accordi. Entrare nel salotto del Corriere per le banche e i big dell’imprenditoria italiana è stato il modo più semplice e diretto per tutelare i propri interessi anche con opera di moral suasion verso la politica. Per questa ragione, l’andamento economico del gruppo e i ritorni dell’investimento sul titolo sono sempre passati in secondo piano. Ora l’intervento pesante di Della Valle e di Rotelli è destinato a cambiare lo scenario e alla fine Rcs potrebbe diventare una società “normale”.
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Vittorio Malagutti, Il Fatto quotidiano (da giovedì a L’Espresso)
Rcs, o meglio il Corriere della Sera che è la principale attività del gruppo editoriale, resta uno dei principali centri di potere nazionale. E questo nonostante l’indubbia perdita di importanza che negli ultimi anni la carta stampata ha subìto rispetto all’informazione via web. Per capire quali siano i rapporti di forza tra i grandi nomi del capitalismo nazionale è essenziale raccontare e interpretare le vicende proprietarie del Corriere. Se perfino la Fiat di Marchionne, assediata dalla peggiore crisi di mercato della storia, fa di tutto (per adesso) per non perdere posizioni nel Corriere vuol dire che comandare a via Solferino serve ancora a qualcosa.
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Giuseppe Oddo, Il Sole 24 Ore
L’«ossessione» per la Rcs nasce da due fatti. Primo, una rendita di posizione di cui ancora gode il Corriere della Sera, principale attività del gruppo editoriale Rcs e tuttora primo giornale italiano. Questo va però contestualizzato in un periodo in cui la stampa è in totale declino, in Italia e nel mondo, per motivi strutturali ma non solo, mentre web e campagne sui social network hanno sempre più presa sull’opinione pubblica. Secondo, si continua a credere che Mediobanca, uno dei soci più influenti della Rcs, abbia ancora un ruolo centrale nel mondo finanziario italiano. Cosa che oggi non è più vera, o non lo è più come poteva essere venti anni fa: lo dimostra il modo in cui è rimasta impelagata per mesi in vicende, come quella di Fondiaria Sai, in cui è stato evidente che la leadership di un tempo non c’è più. Chi siede in quel parlamentino che è l’azionariato del Corriere pensa di potersi legittimare agli occhi del Paese, e di influenzare l’opinione pubblica o comunque di tessere relazioni importanti nei propri affari o nella politica. Chi difende le proprie posizioni sul Corriere, e chi sgomita per entrarci, sono gli stessi che percepiscono meno di tutti il fatto che il mondo è cambiato, sono la rappresentazione di un sistema di potere vecchio e fine a se stesso, volto essenzialmente alla sua riproduzione. La verità è che l’importanza della Rcs è sopravvalutata e che oggi la pluralità dei canali d’informazione ha segmentato e moltiplicato la capacità di incidere sull’opinione pubblica.
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Fabio Tamburini, agenzia Il Sole 24 Ore – Radiocor
Prima ancora dei giornalisti, direi che l’argomento interessa anche imprenditori banchieri e politici. Rcs significa Corriere della Sera che rimane, insieme a Repubblica, il principale quotidiano italiano. E anche il sito ha contatti di tutto rispetto, ormai di gran lunga prevalenti rispetto al numero dei lettori del quotidiano stampato. Mentre Repubblica è schierato, il Corriere può essere conteso. Ed è proprio quello che accade. Resto convinto che cambiano i tempi ma l’informazione è potere. E tale resterà. Credo che un conto sia il Paese reale e un altro quanto accade nel mondo dei partiti, nei palazzi del potere e dintorni. L’influenza vera del Corriere sul Paese reale ritengo sia molto poca. Lo confermano, del resto, i risultati elettorali: il responso delle urne risulta sempre molto diverso dal voto dei principali quotidiani della carta stampata. Al contrario, nei giochi del potere più o meno autoreferenziato, l’attenzione verso la carta stampata resta spasmodica. E penso a ragione. Spesso il ruolo dei media, sotto questo aspetto, risulta determinante.