“Nel Lazio di Fiorito si è compiuto il destino di una destra ormai estinta”

“Nel Lazio di Fiorito si è compiuto il destino di una destra ormai estinta”

Scandali e ruberie hanno travolto la regione Lazio: Fiorito e Polverini sono diventati emblemi di sprechi di denaro pubblico inaccettabili: la fine della fiducia nella politica. Molti di loro, però, hanno una storia politica che passa per le file dell’Msi, partito di estrema destra e molto severo sulla morale pubblica. Che fine ha fatto? Lo abbiamo chiesto al professor Marco Tarchi, politologo e ordinario all’Università di Firenze.

Comincerei da lì gli scandali. Fiorito e altri vengono del Msi, partito che faceva della morale pubblica un segno distintivo. Che fine ha fatto?
È l’ennesimo segno del processo che ha segnato la politica degli ultimi decenni. È stata celebrata la fine delle ideologie, mentre si è enfatizzato il peso delle questioni amministrative (che richiedono soluzioni “tecniche” e che lasciano poco spazio alle divisioni sulle scelte di valore). Allora la politica si è trasformata in una semplice – e spesso lucrosa – professione. Questo, del resto, è anche la conferma di quanto già scrivevo nella metà degli anni Novanta, mentre consideravo la sorte dei missini in un’era che li proiettava, d’improvviso, dalla marginalità al governo. 

E che cosa scriveva?
Dicevo che, una volta ammessi al tavolo imbandito, in molti di loro sarebbe prevalsa, più di tutto, la fame arretrata, pluridecennale. E che, una volta “normalizzati”, avrebbero presto imparato la lezione del sottogoverno. Solo che, con l’andar del tempo, ne sono diventati maestri, seppur con notevoli cadute di stile. 

Quindi quello del Lazio non è un caso.
No, proprio non è un caso. È piuttosto un destino, direi, a cui con difficoltà potrebbe sfuggire un partito come l’Msi. E le spiego perché: il partito, per consentire il successo della propria classe dirigente, ha dovuto cambiare ragione sociale, metodi e obiettivi. Il tutto in fretta e in modo disordinato. 

Quindi la crisi parte negli anni ’90.
È più un problema di vecchia data che si sviluppa. Nel 1956, in un combattutissimo congresso del Msi, Giorgio Almirante aveva sottolineato come “essere fascisti in democrazia” costituisse un paradosso. Lui stesso aveva dovuto farci i conti, con frequenti aggiustamenti tattici e strategici. 

E dopo?
Dopo, i suoi eredi hanno risolto il dilemma rinunciando a difendere un’identità ideologica. Ma a quel punto non potevano evitare di diventare come gli altri – incarnando quei vizi che avevano identificato e a lungo denunciato.

Ma tornando alla questione Lazio: non è che il problema, moralità a parte, è stata la riforma del Titolo V del 2001?
In realtà il problema viene da più lontano: lo daterei già al momento della creazione stessa delle regioni a statuto ordinario. C’era chi temeva, già allora, che le regioni sarebbero diventati feudi partitici, centri di spesa più simili a pozzi senza fondo che a organismi dediti alla cura delle necessità dei territori. Ora, fatte le debite differenze tra regioni e regioni – c’è chi sa creare reti di clientela nei modi più raffinati e mantenerle intatte per decenni, mentre altri improvvisano e scadono nella trivialità – non credo che quella previsione fosse infondata.

Ma le regioni hanno anche funzioni amministrative importanti.
Sì. E allora, al di là delle vicende di questi giorni, sarebbe istruttivo indagare (non necessariamente sul piano giudiziario: un’analisi squisitamente tecnico-politica in termini di efficienza istituzionale sarebbe comunque utile) su capitoli di spesa e destinatari di consulenze, finanziamenti ad enti e istituti di ricerca, convenzioni per studi di vario genere ecc. Se ne ricaverebbero senz’altro interessanti considerazioni sul modo in cui viene speso il denaro pubblico.

Insomma, la soluzione qual è?
A mio avviso, alcuni dei provvedimenti che sono stati ipotizzati nei giorni scorsi potrebbero essere utili, e arginare le situazioni più deteriorate. In generale, però, si dovrebbe andare oltre: riducendo ulteriormente il numero dei consiglieri regionali, abolendo tutti i vitalizi e concedendo ai gruppi consiliari solo i servizi essenziali. La partitocrazia si batte solo così, con un drastico ridimensionamento della posta in gioco nel dopo-elezioni. Sperare in un soprassalto di pudore e in una redenzione o conversione spontanea è tempo perso. 

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