Ovito: mancano i soldi per il mangime, è strage di galline

Ovito: mancano i soldi per il mangime, è strage di galline

Decine, forse centinaia di migliaia di capi morti di fame o di cannibalismo. È questo il bilancio ambientale della crisi che sta colpendo il Gruppo Novelli, leader italiano della produzione di uova con il marchio Ovito, che rischia in queste ore di divenire una vera e propria catastrofe ambientale e un nuovo dramma occupazionale, pronto a travolgere gli oltre 700 lavoratori del gruppo.

«La situazione è drammatica. C’è ancora una forte domanda, ma la produzione continua a diminuire. Da un milione siamo ormai scesi al livello di circa 200 mila uova al giorno e le galline non stanno mangiando«, ha detto Loreto Fioretti, responsabile territoriale della Fai Cisl. «Dobbiamo intervenire con urgenza, perché stiamo perdendo quote di mercato giorno dopo giorno e, fatto ancor più grave, le galline stanno morendo».

Il gruppo Novelli con il marchio Ovito è uno dei leader nazionali della produzione di uova, destinate al consumo o all’industria, con clienti in tutta Italia del calibro di Barilla e Ferrero. Dal 2008 il gruppo, secondo un suo stesso report, conta due milioni di galline ovaiole, allevate intensivamente in cinque stabilimenti ubicati nelle montagne a ridosso di Spoleto, in Umbria, dove l’azienda affonda le proprie origini. Oltre al marchio Ovito, il gruppo vanta anche altri marchi di risonanza nazionale, in particolare nel settore pane, come Interpan, Spiga, Saddler e Panem, per un totale di oltre 700 dipendenti in tutta Italia.

Proprio dal pane nascono i dissesti finanziari. Nel gennaio del 2011, il gruppo Novelli ha acquistato in Lombardia la Panem Italia Spa, rilevando l’azienda in crisi a un prezzo di grande vantaggio. Obiettivo dell’operazione, penetrare i promettenti mercati del Nord, molto più forti nella domanda di uova, vista la flessione della domanda al sud riscontrata negli ultimi anni. Insieme all’azienda, però, il gruppo si è fatto carico di svariati milioni di euro di debiti. Già agli inizi del 2012 la Panem chiude due stabilimenti nel Lazio (Roma e Latina) e uno ad Altopascio, in Toscana. Oggi le sorti della Panem sono in mano al tribunale di Monza, che insieme al gruppo sta aprendo una procedura di concordato con i creditori per evitare il fallimento. Secondo fonti sindacali, sul gruppo pesano circa 100 milioni di euro di debiti.

La cattiva gestione finanziaria dimostrata nella vicenda Panem insieme ai possibili effetti del concordato ha fatto suonare i campanelli di allarme nei sei istituti di credito che intrattengono rapporti con il gruppo. A partire da gennaio 2012, le banche hanno chiuso i rubinetti, lasciando Novelli di colpo in crisi di liquidità, incapace di pagare i suoi fornitori.

«La crisi ha colpito prima il settore pane», racconta Augusto Paolucci, esponente sindacale della Flai Cgil. «Poi da giugno le problematiche del gruppo hanno messo in mezzo anche Spoleto, la filiera dell’uovo, l’eccellenza del gruppo, che fino a quel punto era rimasta un po’ a margine».
Quando la mancanza di liquidità contagia il ramo uova, e quindi le galline, alla crisi occupazionale si aggiunge il dramma ambientale. Tra le materie prime che mancano al gruppo ci sono i mangimi, necessari per sfamare ogni giorno oltre due milioni di capi che vivono nelle gabbie allineate in centinaia di file in una ventina di capannoni.
«C’è un prodotto che tira: oggi, con i problemi economici che ha avuto l’azienda, hanno avuto difficoltà a far fronte agli ordini che ci sono per gli approvvigionamenti, per una mancanza di materie prime, proprio dovute a una mancanza di liquidità», ha detto Paolucci.

Mancano le materie prime «Gli ordini ci sono… ci sono stati sempre. Solo che cominciano a tagliare, perché non abbiamo più le uova da consegnare, sinceramente», ammette Domenico Minciotti, uno dei lavoratori del gruppo. La mancanza di fondi ha innescato prima dell’estate un circolo vizioso. Per effetto della malnutrizione, le galline hanno ridotto la produzione di uova, spesso per giunta divenute inutilizzabili perché – per la non corretta alimentazione – non ottemperanti ai dettami delle certificazioni di qualità. Gli ordini non evasi nei confronti dei clienti hanno iniziato a far perdere quote di mercato e solidità al gruppo, aggravando la crisi.

«Siamo preoccupati, molto. Ci sono famiglie che vivono solo di questo», racconta ancora Minciotti. «Il pagamento degli stipendi per due mesi è stato ritardato, noi abbiamo preso un minimo garantito, ottocento euro, e altri solo il 50 per cento. Vediamo bene che le cose non vanno». Secondo il dipendente, «non riusciamo a evadere gli ordini perché mancano le materie prime. Una volta manca il mangime, una volta le scatole, una volta qualcos’altro. Così non si riesce ad andare avanti, non si può più lavorare».

Una prima grave moria di capi ha colpito il gruppo già nel mese di giugno, con migliaia di capi morti di fame. La notizia, nota solo a parte dei dipendenti, è rimasta però nascosta tra i capannoni dell’azienda, perché denunciarla – agli occhi di lavoratori e sindacalisti – avrebbe significato far perdere il buon nome (e quindi mercato) al gruppo.
«Tutti quelli che stanno con le galline dicono che la situazione è degenerata da mesi», racconta un autotrasportatore che lavora per il gruppo e che ha chiesto di rimanere nell’anonimato. «Non ce la fanno più a pagare i fornitori e quindi non sanno più che cosa dargli da mangiare. Sono tantissime le galline che sono morte, molte a un certo punto hanno iniziato a mangiarsi a vicenda», afferma.

Non è possibile quantificare in maniera definitiva il numero di capi morti tra una prima crisi dei mangimi avvenuta a giugno e una seconda, tutt’ora in corso. Secondo Fioretti della Cisl la moria di capi ha le proporzioni di una vera ecatombe, che «non è arrivata a dimezzare, ma ha ridotto notevolmente» il numero di capi (2 milioni). Parliamo quindi di decine, probabilmente centinaia di migliaia di esemplari. «Le galline stanno morendo e se non ci muoviamo subito rischiamo di perdere tutto», afferma il sindacalista senza mezzi termini.
Di fatto, quando gli allevamenti erano a regime, all’inizio dell’anno, la produzione superava abbondantemente il milione di uova al giorno mentre pochi giorni fa è precipitata a meno di 200mila uova. Al momento la produzione è stata del tutto interrotta, riferiscono i sindacati.

«Molte erano morte a giugno, un po’ stanno morendo. Adesso di nuovo, sono giorni che non mangiano e ogni giorno che passa la situazione si fa più grave», ha detto il sindacalista nei giorni scorsi. Il disastro ambientale sta erodendo man mano anche le speranze dell’azienda di riprendersi dalla crisi. «L’unica speranza è che ognuno faccia la sua parte», ha detto Fioretti. «Le istituzioni, le banche e anche la proprietà, che deve valutare la possibilità di farsi da parte. L’importante è agire subito, prima che sia troppo tardi».

Augusto Paolucci della Cisl: «Con il concordato non si possono fare acquisti, e i tempi sono molto lunghi. Se ci muoiono un milione e mezzo di galline finisce l’attività. C’è anche un problema igienico e sanitario non indifferente per smaltire le carcasse. E poi non possiamo ignorare che stiamo parlando di animali, non si possono lasciare morire così», ha detto Paolucci. «Chiediamo che le istituzioni si facciano carico anche degli animali oltre che dei creditori».

Messi alle strette dalla drastica e sempre più grave riduzione di capi, venerdì sindacati e lavoratori del ramo uova di Novelli hanno deciso in un’assemblea generale di denunciare alle istituzioni e alla stampa locale il «rischio che due milioni di galline che non mangiano da giorni possano morire». L’allarme ha prodotto l’immediata reazione delle istituzioni locali, a partire dal Comune di Spoleto, che ha annunciato un intervento già nei prossimi giorni per fornire urgenti approvigionamenti agli animali.

L’azienda al momento non ha rilasciato alcuna dichiarazione, né sulla crisi né sulla “questione” delle galline. Oggi i vertici Novelli sono attesi in un incontro con le segreterie nazionali dei sindacati coinvolti a Roma. Flai-Cgil, Fai Cisl, Uila Uil hanno indetto intanto per il 17 ottobre uno sciopero di tutti i dipendenti del gruppo. I sindacati hanno annunciato anche un possibile esposto a breve all’Ente nazionale protezione animali (Enpa).

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