Partono le privatizzazioni di Putin, ci sarà l’Italia senza l’amico Silvio?

Partono le privatizzazioni di Putin, ci sarà l’Italia senza l’amico Silvio?

Si apre la stagione delle privatizzazioni per la Russia di Vladimir Putin. Con un piano da oltre 80 miliardi di dollari, il presidente russo punta a rimpinguare le casse dello Stato attirando capitali stranieri. Un obiettivo ambizioso da realizzare in tempi strettissimi, entro il 2016, anno in cui Putin concluderà il suo terzo mandato presidenziale. In vendita non solo i colossi pubblici del petrolio e del gas, settori chiave per le esportazioni del Paese, ma anche grandi banche e infrastrutture, dai trasporti alle telecomunicazioni. Pochi giorni fa, nel suo discorso al “Russia Calling!” di Mosca, il forum per attirare investitori stranieri, il Presidente aveva dichiarato: «I cambiamenti sono necessari ma devono favorire lo sviluppo. Non vogliamo elementi di disturbo, vogliamo la Grande Russia». 

L’ondata di privatizzazioni, secondo Putin, sarà diversa da quella  degli anni ’90, che aveva fatto nascere gli imperi degli oligarchi subito dopo la caduta del Comunismo. Il Presidente l’aveva già specificato al Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo, lo scorso giugno: questa volta, niente cessioni truccate e nessun monopolio privato. La sua ultima campagna elettorale, in fondo, si era basata proprio sulla trasparenza e sulla lotta alla corruzione, nel tentativo di conquistare voti anche tra chi manifestava in piazza contro il “partito dei ladri e dei truffatori” alla maggioranza, Russia Unita.

L’operazione rappresenta una svolta. Sebbene Putin, da tredici anni ai vertici della politica russa, definisca da tempo la liberalizzazione dei giganti pubblici come una “priorità”, fino ad oggi niente era stato fatto. Troppi gli interessi legati ai gruppi di potere interni alla maggioranza o vicini al Cremlino. Qualcosa però è cambiato. In un recente studio, riportato dal Financial Times, la Banca Centrale russa stima che la crescita del Paese nei prossimi tre anni risentirà fortemente dell’andamento del petrolio: secondo le previsioni, la vendita di materie prime energetiche non basterà per pagare le importazioni, causando un deficit nella bilancia dei pagamenti correnti che potrebbe toccare i 9 miliardi di dollari nel 2015. E le grandi aziende statali, gestite in modo inefficiente, richiedono investimenti urgenti. Privatizzare a tempo record potrebbe essere una soluzione per non far rallentare lo sviluppo e non perdere il consenso.

Ma c’è chi teme che il piano affrettato nasconda un modo per garantire comunque gli interessi di gruppi ristretti: azioni delle compagnie in vendita potrebbero essere ricomprate da imprese pubbliche (l’ex ministro delle Finanze Aleksej Kudrin ha parlato di “pseudo-privatizzazione”), mentre, grazie all’etichetta di “azienda strategica”, anche compagnie di scarsa importanza potrebbero rimanere statali. «Puoi chiamare strategico ogni negozietto. Dove c’è la parola “strategico”, là trovi interessi commerciali», aveva dichiarato in giugno l’ex ministro per lo Sviluppo Economico German Gref, oggi a capo della banca statale Sberbank.

Anche l’Italia è stata coinvolta nel tentativo di Mosca di attrarre capitali dall’estero. Piazza Affari ha ospitato il 3 ottobre scorso il forum “Investire nella Nuova Russia”, organizzato dalla società italiana General Invest in collaborazione con la Borsa russa. Scarsa la presenza dei piccoli imprenditori italiani, pari a zero quella dei politici nostrani. Sul palco si sono alternate le grandi aziende della finanza russa e della siderurgia: oltre a Sberbank, anche la banca VEB, che ha finanziato le infrastrutture delle Olimpiadi invernali di Sochi tanto volute da Putin, e Severstal, il colosso che nel 2005 comprò la Lucchini, ora in mano alle banche. Presenti sul fronte italiano i soliti noti. Ospite d’onore era Enel, che ha investito nel Paese 4 miliardi di euro.

C’era anche Ernesto Ferlenghi, volto dell’Eni a Mosca e oggi a capo della rete elettrica russa, la statale Federal Grid. Vicepresidente di Gim-Unimpresa, che riunisce le imprese italiane in Russia, Ferlenghi condivide la carica con Antonio Fallico di Intesa San Paolo, considerato uno dei “moschettieri” di Berlusconi a Mosca. E il grande assente al forum milanese era proprio lui, Silvio. Tutti si aspettavano l’arrivo dell’ex premier, grande amico del Presidente russo – e invitato ieri al suo 60esimo compleanno  – ma lui ha dato forfait, forse per trattare sulla vendita multimilionaria (470 milioni di euro, secondo Libero) di Villa Certosa in Sardegna. E ora non resta che chiedersi quali saranno i rapporti tra la “Nuova Italia” e la “Nuova Russia”.

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