Il decreto Salva-Italia e il successivo decreto attuativo della legge del maggio 2012 contengono delle previsioni finalizzate a convogliare i risparmi degli italiani sui conti correnti e sul BancoPosta, penalizzando fortemente gli investimenti in fondi e Sicav. Norme fiscali il cui effetto è profondamente distorsivo e destinato a penalizzare fortemente una delle principali forme di “democrazia economica” quale l’investimento in fondi comuni e Sicav per ri-convogliare il risparmio nei depositi bancari.
Tra le altre tasse e gabelle che il decreto ha introdotto o rincarato c’è anche l’assoggettamento a “imposta di bollo” delle comunicazioni alla clientela relative ai prodotti e strumenti finanziari, fra cui appunto le quote di fondi e sicav. Questa imposta non va applicata su fondi e sicav in misura forfettaria – come invece si verifica per i conti correnti e i libretti di risparmio tenuti presso le banche e le Poste – ma in misura proporzionale e, più precisamente, in una quota pari all’1 per mille del valore di mercato (per quest’anno) e dell’1,5 per mille (per gli anni successivi). Già di per sé la novità è una bella batosta.
Ma il diavolo, si sa, è nei dettagli. Che arrivano con il successivo decreto attuativo della legge (maggio 2012) di cui in queste settimane gli intermediari iniziano a misurare il danno. Cosa prevede il decreto? Innanzitutto, introduce un “importo minimo” per questa imposta di bollo pari a 34,2 euro (per il solo 2012, questa soglia è bilanciata da una soglia massima, di 1200 euro…). Ma non basta: ai fini dell’applicazione delle aliquote, le diverse posizioni detenute da uno stesso cliente presso un unico intermediario vanno cumulate. Dulcis in fundo: i buoni postali fruttiferi ed i conti correnti bancari sono assoggettati ad un’imposta di bollo forfettaria (quindi, per qualsiasi importo) di 34,20 euro e fino a 5 mila euro sono esenti da imposta!
Effetti distorsivi sul mercato. Non solo tutto questo nuoce pesantemente ai piccoli investitori in fondi e Sicavma soprattutto genera delle asimmetrie stupefacenti e dei veri e propri effetti distorsivi sul mercato.
Ecco alcuni esempi:
1) Il primo, e più macroscopico, sta nel differente trattamento fiscale di 100mila euro detenuti presso un conto corrente o presso il BancoPosta e 100mila euro detenuti in un fondo d’investimento o una Sicav. Nel primo caso il risparmiatore paga 34,20 euro (cioè un’aliquota dello 0,0342%) nel secondo caso il risparmiatore paga 150 euro (cioè un’aliquota dello 0,15%). Il milionario che ha i soldi in conto corrente o al BancoPosta paga un’imposta di bollo forfettaria di euro 34,20 ed il milionario che ha investito i propri risparmi in fondi d’investimento o Sicav pagherà, nel 2013, 1.500 euro di imposta. Qual è la ratio di questa differenza di trattamento se non quella di favorire lo spostamento dei risparmi degli italiani verso il sistema bancario?
2) Per i patrimoni inferiori a 22.800 euro (o 34.200 euro, per il primo anno di applicazione) l’imposta viola il sacrosanto principio della proporzionalità (nonostante il decreto attuativo parli esplicitamente di criterio di proporzionalità). Se un risparmiatore detiene 100 euro in un fondo o Sicav (caso tipico all’inizio di un piano di accumulo) dovrà comunque pagare l’imposta minima di 34,2 euro, pari a una bella aliquota annua del 34,2 per cento: più che di un’imposta, parliamo di una confisca! Il che distrugge, in un amen, l’intera fetta di mercato dei piccoli e piccolissimi rispamiatori che fino ad oggi hanno investito in fondi e sicav! Nel caso in cui i 100 euro siano detenuti in un conto corrente o presso il BancoPosta, il risparmiatore non è assoggettato a imposta. Un risparmiatore che detenga fino a 5mila euro sul proprio conto corrente bancario: non paga alcun tipo di imposta, beato lui. Quindi, a tutti i detentori di quote di fondo o sicav per importi inferiori a 5mila euro, converrebbe vendere le quote del fondo e spostare il controvalore sul conto corrente! Un favore macroscopico alle banche.
3) È fonte di distorsioni anche il principio di cumulabilità tra strumenti finanziari posseduti soltanto tramite lo stesso intermediario: infatti, uno stesso risparmiatore che avesse in portafoglio 1.000 euro in fondi e Sicav presso lo stesso intermediario nel quale cumula una posizione complessiva in strumenti finanziari di 50mila euro pagherebbe un’aliquota effettiva pari a quella stabilita dalla legge. Lo stesso identico risparmiatore che decidesse invece di detenere sempre 1.000 euro in fondi non collocati dalla sua banca, pagherebbe l’1,5 per mille sulla posizione di 49mila euro e il 3,4% sui fondi eventualmente sottoscritti direttamente, ad esempio presso la stessa società di gestione del risparmio (Sgr).
Cosa fa una Sgr se non c’è provvista di denaro su una determinata posizione? Deve comunque farsi carico del pagamento dell’imposta, come sostituta d’imposta, salvo poi rivalersi successivamente sul cliente: ma così si assume il rischio di non riuscire a rientrare dell’importo anticipato. Per una banca, invece – altra distorsione concorrenziale – le implicazioni operative di questa asimmetria sono assai meno rilevanti che non per una Sgr, perché di solito la banca può, alla bisogna, mettere le mani nel conto corrente del cliente moroso, ammesso di trovarvi fondi.
Insomma, un mostro fiscale, carico invece di implicazioni negative e scorrette, che finirà con il finanziare surrettiziamente le banche, a spese di forme di investimento del risparmio più chiare e trasparenti, nonostante tutto ciò che abbiamo visto negli ultimi anni.
*L’autore è presidente AcomeA Sgr e opera da decenni nel settore del risparmio gestito.