Se ‘ndrangheta e Cosa Nostra si alleano nel nome della cocaina

Se ‘ndrangheta e Cosa Nostra si alleano nel nome della cocaina

Gli affari, si sa, per la ‘ndrangheta sono sacri. Quasi quanto la famiglia. E così tanto vale superare ogni rivalità e allearsi con i cugini di Cosa Nostra per far fruttare al meglio il traffico di cocaina. Un patto di sangue tra le “mafie” stretto non a Reggio Calabria né a Palermo, ma nell’hinterland milanese. Dove, come è emerso dall’ultima operazione della Direzione distrettuale antimafia di Milano che il 18 ottobre scorso ha portato all’arresto di più di 50 persone, gli esponenti delle cosche calabresi avevano creato un “cartello” con la mafia siciliana per il commercio della polvere bianca. Da smistare tra Italia, Belgio, Germania, Olanda e Austria. A dare il via all’inchiesta, denominata «Dionisio», è stata l’indagine relativa all’omicidio di Natale Rappocciolo, narcotrafficante trovato morto a Pioltello, nel milanese, il 27 giugno del 2009.

La droga arrivava dall’Ecuador e dalla Colombia ed entrava in Europa in aereo o nei container delle navi commerciali, nascosta tra i gamberi e le banane. Dai porti di Anversa e Amburgo o dall’eroporto di Vienna, veniva distribuita poi in tutto il continente. I soldi per finanziare il trasporto della merce arrivavano «dai parenti nostri, quelli di giù», si legge nelle intercettazioni, che affidavano le «’mbasciate (gli incarichi, ndr)» a quelli del Nord. Ma questa volta, tra i finanziatori non c’erano solo i boss calabresi. «Il narcotraffico», ha spiegato Mario Parente, comandante dei Ros, «era finanziato da un cartello riconducibile alle proiezioni milanesi delle più importanti cosche delle ‘ndrangheta, come i Morabito di Africo, i Pelle di San Luca, i Molè di Gioia Tauro. È stato anche accertato un rapporto sempre funzionale al traffico di droga tra le cosche indagate ed esponenti di spicco di Cosa Nostra operanti in Lombardia, facenti capo alla famiglia palermitana dei Fidanzati e alle famiglie di Gela degli Emanuello e dei Rinzivillo».

A fare affari con gli uomini di ‘ndrangheta a Milano sarebbe stato Guglielmo Fidanzati, figlio dello storico boss di mafia Gaetano detto Tanino trapiantato a Milano negli anni Sessanta. Fidanzati junior, socio di diversi locali noti della movida milanese, avrebbe collaborato con le cosche calabresi per finanziare l’importazione della cocaina dal Sud America. I suoi incaricati più volte avrebbero incontrato gli uomini delle ‘ndrine nel quartiere Baggio di Milano e nelle campagne della provincia di Varese. «I siciliani si rivolgono ai calabresi», scrivono gli inquirenti, «quasi a riconoscere il loro maggiore peso in quella zona». Lo conferma anche Parente: «Il ruolo centrale ce l’hanno le cosche della ‘ndrangheta che hanno confermato ancora una volta lo straordinario livello raggiunto nel traffico internazionale» di cocaina, grazie anche alla «solidità di rapporti instaurata nel tempo con i broker sudamericani».

Ma su una cosa gli esponenti delle cosche sembrano essere d’accordo: la “superiorità morale” rispetto ai colleghi colombiani, ritenuti più sanguinari e in grado di riservare «torture» a chi li tradisce. «Un giorno», dice Bruno Pizzata, di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria) ma residente a Duisburg, in Germania, «lo zio», uno dei narcos colombiani, avrebbe «tagliato le mani» a qualcuno che «ha rubato». «Mamma mia», risponde Francesco Strangio, «noi siamo flessibili su queste cose […] ma quando è successo un fatto del genere nelle nostre zone mai…». Piuttosto, precisa, «una fucilata, ma no quelle torture».

A tenere le fila tra le componenti del cartello a Milano, ci sarebbe stato Alessandro Manno, ritenuto dagli inquirenti «capo della locale di Pioltello e inserito a pieno titolo nell’organigramma ‘ndranghetista milanese, con il grado di crociata». Manno avrebbe fatto da tramite sia con i parenti di «giù», sia con quelli in Germania, sia con Feliberto Fabian Cuenca Rojas, considerato il rappresentante in Italia dei venditori ecuadoregni. Come riportato nelle carte dell’operazione, il capo di Pioltello sarebbe «sceso» più volte fino a Reggio Calabria per incontrare Giuseppe Pelle, «appartenente alla ‘ndrina dei Gambazza di San Luca e figlio di Antonino Pelle detto ‘Ntoni Gambazza», arrestato nel 2009 mentre era latitante. I viaggi in Calabria avevano l’obiettivo di raccogliere i «documenti» – come si legge nella trascrizione delle intercettazioni – , cioè il denaro necessario per il traffico degli stupefacenti. E gli esponenti delle cosche reggine, come il sanlucota Francesco Strangio, sarebbero “saliti” più volte a Milano «per concordare le importazioni di cocaina». Qui fittano appartamenti, si danno appuntamenti davanti a noti centri commerciali e pranzano nei migliori ristoranti del centro storico. Nel marzo 2010, scrivono gli inquirenti, sarebbe nato «un accordo fra rappresentanti di diverse cosche calabresi presenti sia in Lombardia che in Calabria con la finalità di procedere alla raccolta di una somma di denaro da utilizzare nelle fasi iniziali del commercio di stupefacenti». 

Le «fasi iniziali» consistono soprattutto nell’organizzazione dell’importazione della polvere bianca. Che avveniva su due canali: «commerciale, di reperimento e acquisto, relazionandosi con Cuenca Rojas» e «logistica, relativo allo sbarco e trasporto della merce in Italia». In questo secondo caso, i referenti delle cosche sarebbero stati Cosimo Fiorito e Denis Carminati, che si spostavano in Germania per gestire l’arrivo dei container carichi di cocaina sulle banchine del porto di Amburgo. «Hamburger» in codice. «Il dottore mi deve dare l’ok…la donna è appena entrata in travaglio e ancora non si sa se il bambino è nato», dice Fiorito in attesa del trasbordo del container in cui era nascosta la droga dalla nave appena arrivata dal Sud America.

Il trasporto poteva essere «lento», cioè via nave, o «rapido», in aereo. Nelle conversazioni telefoniche gli uomini delle cosche parlano della «quantità di gamberi che si può portare nella rapida» (il quantitativo di droga che può essere imbarcato su un aereo) e di quanto hanno già «piantato dove fa più freddo nella lenta» (il quantitativo di droga stivato nella cella frigorifera della nave). La cocaina è anche definita «la macchina», che può avere «l’ottanta per cento di motore». Cioè: «Con un grado di purezza pari all’80%». Un linguaggio in codice che dal settore automobilistico vira poi sui cantieri, e la polvere si trasforma presto nel «carpentiere». 

Un altro metodo usato dagli uomini delle ‘ndrine per camuffare il traffico di cocaina era lo scambio di sms. I corrieri fingevano una smielata relazione tra fidanzati, digitando frasi d’amore. «Ci vediamo al pub del tuo amico a mezzanotte ho voglia pazza di vederti ci stai?», scrive uno all’altro per fissare un appuntamento. Ancora: «Amore vieni stasera per metterci d’accordo o vieni domani mattina?». E per comunicare la quantità di cocaina che si voleva ricevere: «Ok, però mi devi dare un bacio intero». Ovvero, un chilo di cocaina.

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