Se nel 2012 nascere bambina è ancora un grosso guaio

Se nel 2012 nascere bambina è ancora un grosso guaio

Kodeja vive in Bangladesh. Aveva solo 12 anni quando i suoi genitori hanno deciso di darla in sposa a un ragazzo di 20 anni, commesso in una farmacia. Stava diventando molto bella e la famiglia temeva per la sua sicurezza perché, dopo la scuola, restava a casa da sola tutto il pomeriggio. Agli occhi dei suoi genitori, darla in sposa era un modo per proteggerla. Kodeja è una delle 10 milioni di bambine che ogni anno sono costrette a sposarsi prima di aver compiuto 18 anni, costrette a pronunciare un “sì” di cui non comprendono pienamente il significato. Di queste, circa due milioni hanno meno di 15 anni.

Un matrimonio che non ha nulla di romantico, dettato spesso dalla povertà della famiglia d’origine. E che stringe ulteriormente i nodi della povertà e dell’esclusione sociale attorno a queste ragazzine. La cerimonia segna drammaticamente la fine dell’età dei giochi, un inizio troppo precoce dell’età adulta. Sposarsi significa, per prima cosa, interrompere gli studi (tradizioni e abitudini sociali portano a pensare che l’educazione per le bambine sia meno importante rispetto ai maschi), essere costrette a rapporti sessuali forzati e a gravidanze rischiose.
Secondo i dati del’Onu ogni anno sono 16 milioni i parti che coinvolgono ragazze con meno di 18 anni. “Sulle adolescenti grava un rischio maggiore di mortalità materna. Nelle madri di 15-19 anni la mortalità è due volte superiore rispetto alle donne di 20 anni”, spiega Stefania Fieni, medico di ostetricia e ginecologia presso l’azienda ospedaliera universitaria di Parma.

Ma non c’è solo il dramma dei matrimoni precoci. Dal Perù alla Cina, dal Ghana al Bangladesh le bambine “continuano a essere vittime silenziose e invisibili di violenza e abusi, traffico e povertà”, denuncia Terre des Hommes. L’associazione, impegnata da anni nella difesa dei più piccoli, ha lanciato la campagna “InDifesa” per porre i riflettori del grande pubblico e delle istituzioni sulla condizione di grave vulnerabilità da abusi e discriminazioni delle bambine in Italia e nel mondo

Circa metà della popolazione mondiale, infatti, inizia la propria vita in condizioni di oggettivo svantaggio. La costante violazione dei diritti delle bambine e le discriminazioni di ogni tipo hanno come conseguenza diretta un minore accesso all’istruzione, al nutrimento, all’assistenza sanitaria e le sottopone a forme di sfruttamento culturale, sessuale, economico e sociale. Un fenomeno di cui è difficile comprendere la portata. Terre des Hommes ci ha provato, con un report dal titolo “La condizione delle bambine e delle ragazze nel mondo”, diffuso in occasione della prima giornata mondiale per i diritti delle bambine indetta dall’Onu e che si celebra oggi (10 ottobre).

Svantaggiate alla nascita. Tre semplici parole che suonano come una condanna a morte: “It’s a girl – È una bambina”. Di fronte all’esito dell’ecografia, milioni di donne ogni anno sono costrette ad abortire la bimba che portano in grembo. Oppure, spinte da necessità, la lasciano morire di fame e di inedia appena nata. In India e Cina si stima che manchino all’appello più di 100 milioni di bambine, ma il fenomeno delle “donne mancanti” non riguarda solo i due giganti asiatici. Anche in Armenia, piccolo Paese del Caucaso, ci sono stati 7mila aborti selettivi negli ultimi cinque anni.

La politica del figlio unico, lanciata in Cina nel 1978, ha prodotto effetti devastanti: 32 milioni di uomini con meno di 20 anni non troveranno mai una compagna. Ma le conseguenze di questa scelta si allargano ben oltre i confini del Paese: secondo Laura J. Lederer, già responsabile della sezione Human trafficking del Dipartimento di stato americano, “la politica del figlio unico è uno tsunami che genera sfruttamento sessuale in tutta l’Asia”. Migliaia di donne e di bambine, infatti, vengono trafficate in Cina dalla Corea del Nord, dal Vietnam, dalla Birmania, dalla Mongolia e dalla Thailandia.

La carta vincente, l’istruzione. Sono circa 61 milioni i bambini che non hanno accesso all’istruzione primaria, il 53% sono femmine. Terminato il primo ciclo d’istruzione, poi, il dato crolla ulteriormente: le ragazze, infatti, hanno maggiori probabilità di sposarsi e restare incinte prima di aver compiuto i 18 anni. Nelle zone più povere e nelle aree rurali è diffusa l’idea che per una donna le scuole elementari offrano un livello più che sufficiente di istruzione.
Fare in modo che le ragazze restino sui banchi di scuola il più a lungo possibile, invece, ha molti vantaggi: ritardare il matrimonio e la gravidanza (abbassando così il rischio di morire di parto). Una ragazza con un livello di istruzione superiore può trovare un lavoro migliore, sa leggere le istruzioni di un operatore sanitario ed è in grado di assistere meglio il suo bambino. L’Unesco stima che ogni anno di istruzione in più per una ragazza possa ridurre la mortalità del suo bambino del 9%.

“Indifesa” nel Belpaese. In Italia non si arresta la crescita dei reati contro i minori e la maggioranza delle vittime sono di sesso femminile. Complessivamente dalle 4.319 vittime minorenni del 2010 si è passati alle 4.946 del 2011 (quasi il 15% in più), il 61% delle quali sono di sesso femminile. Lo scorso anno, 822 bambine e ragazzine hanno subìto una violenza sessuale (l’83% del totale). A queste vanno aggiunte le 434 vittime di violenza sessuale aggravata, l’82% femmine. Terre des Hommes ha elaborato questi dati in collaborazione con le Forze dell’Ordine. “L’evidenza di un filo rosa che lega questi terribili dati conferma l’urgenza di assicurare protezione a bambine e ragazze”, commenta Federica Giannotta, responsabile Diritti dei bambini dell’associazione.

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