Sulle nomine, l’Italia non è una democrazia

Sulle nomine, l’Italia non è una democrazia

Diceva Norberto Bobbio che la democrazia è il sistema in cui le cose pubbliche vengono decise in pubblico. Se questo è vero l’Italia non sta certo ai primi posti in un eventuale elenco di vere democrazie. Non perché non siano pubbliche le discussioni politiche o quelle giudiziarie, in cui anzi la spaventosa pubblicizzazione è deleteria. Rimane però in ombra un settore importantissimo, quello delle nomine, attraverso il quale si gestisce gran parte del vero potere, e dalla cui bontà dipende il funzionamento della macchina statale, delle imprese pubbliche, degli organi di controllo, insomma di buona parte della vita del paese.

Spesso le regole di altri paesi sono diverse. Negli Stati Uniti le nomine più importanti, ministri, ambasciatori, sono soggette ad una preventiva audizione pubblica del Congresso. Nelle sue Memorie Kissinger ricorda come un incubo la sua audizione all’atto della nomina a Segretario di Stato. La nomina a Commissario europeo passa attraverso una preventiva audizione del Parlamento che, come dimostra il caso di Rocco Buttiglione, è tutt’altro che una passeggiata.

Il problema italiano è che l’immenso mondo della cosa pubblica è dominato dal ferreo principio della lottizzazione, secondo il quale il potere va spartito tra i partiti in proporzione alla loro forza. E’ raro che questa regola si concili con la meritocrazia, cioè con l’esigenza che la carica pubblica sia assegnata a chi la sa gestire meglio. Ma proprio per questo il Palazzo, quasi sempre unanime in pratiche di lottizzazione, ha interesse, anzi necessità di stendere su queste pratiche una cappa di silenzio. Ci riesce benissimo, e la lottizzazione, che negli anni 90 avevamo combattuto ferreamente, ha ripreso assoluto vigore. Credo che a questo costume deteriore sia in gran parte dovuto il fallimento dell’istituto delle Authority, per il cui funzionamento è assolutamente necessaria una rigorosa scelta al di fuori delle parti.

Si può porre rimedio? Certo lo potrebbe il Parlamento varando regole severe, lo potrebbe il mondo politico scegliendo con serietà. Ma è proprio questo che manca oggi alla politica italiana. Che cosa possiamo fare noi cittadini?

Io credo che si possa fare molto, e che soprattutto gli organi di informazione abbiano strumenti potenti. Sarebbe di grande efficacia un luogo (giornale, rivista, sito web), in cui fossero disponibili i dati oggettivi della persona pubblica: la vita, la storia, la eventuale attività politica o sindacale, i titoli. Non una descrizione che contenga un giudizio, sia ben chiaro: quello se lo deve fare il lettore, il cittadino, lo scriveranno i commentatori: la semplice fotografia della persona. Niente di riservato, intendiamoci, si tratta di dati oggettivi e pubblici e quindi nessuna violazione della privacy. Ma è proprio dai dati del passato (appartenenza a un partito, cariche ricoperte, legami con organizzazioni ) che spesso si comprendono i veri motivi che hanno portato alla nomina. Non c è niente di male nell’essere parlamentari di questo o quel partito. Ma è male se è per meriti politici che si viene nominati al consiglio di amministrazione della RAI o nelle più delicate authority.

C’è qualcuno che si vuole prendere questo compito? Non è gratificante, attenzione. E’ complicato dal punto di vista organizzativo e si arrabbieranno in molti. Ma illuminare gli angoli più bui della cosa pubblica sarebbe un grande servizio civile.  

Il blog di Mario Segni

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