“Zerocalcare”, il blog di fumetti che ha svoltato grazie a Trenitalia

“Zerocalcare”, il blog di fumetti che ha svoltato grazie a Trenitalia

Zerocalcare odia gli sbirri, crede in David Gnomo, guarda Breaking Bad, non perdona il G8 di Genova e ama i dinosauri. È una webstar («che poi mi fa molto ridere e vuol soprattutto dire», ci racconta, «dover passare le giornate a rispondere alle mail») ed è anche il personaggio (a fumetti) che racconta meglio il limbo dei nati tra 1980 e il 1990. La loro confusione tra consumismo e radicalismo politico, con il mercato del lavoro anni ’10 sullo sfondo, diviso tra velleità improbabili (farò il paleontologo) e vita dura (le ripetizioni ai ragazzi delle medie, le traduzioni per i documentari di caccia e pesca). Un mix che è valso centinaia di migliaia di visite al suo blog Zerocalcare.it.

I motivi di tanto successo? «C’è un buco di narrazione in Italia che ignora chi è nato negli anni ’80 e ha vissuto l’infanzia negli anni Novanta», spiega Zerocalcare, che si chiama Michele Rech, è romano, classe 1983. «E poi in Italia i web comic quasi non esistono. In Francia sono un vero mercato, escono rilegati in libreria e la gente li compra anche se si trovano gratis in Rete. Qui si lavora gratis solo per gli editori, nell’illusione che il riconscimento verrà attraverso questi canali tradizionali. E invece accade il contrario». 

Parla per esperienza: la sua fama è arrivata grazie al Web, nonostante le esperienze per Liberazione e XL di Repubblica. Dopo il successo del blog, è uscito La Profezia dell’armadillo, l’esordio in libreria, prima autoprodotto e poi passato tra le mani di un giovane editore milanese (Bao Publishing). Il 19 ottobre esce in libreria Polpo alla Gola, il suo secondo libro, il primo ad avere l’ambizione di essere una vera graphic novel. Le premesse sono quelle di sempre: dilemmi di vita quotidiana affrontati con i consigli delle sue «allucinazioni culturali». Ma sotto ci sono un romanzo di formazione e un intreccio mistery. 

Su Amazon il preordinato ha superato Ken Follett: in rete ormai Zerocalcare si è fatto un nome, delle aspettative e dei fan. «Per scriverlo, ho dovuto fare il mio personale Ramadan, niente mail e niente blog. Solo io e la scrittura. E tonnellate di serie Tv. Ho scritto intervallando con Grey’s Anatomy, Breaking Bad e Misfits, che per fortuna non richiedono interazione».

Zerocalcare e Michele sono la stessa cosa. Nelle vignette e nei libri, è tutta autobiografia. Di quartiere (Rebibbia) e di area politica (i centri sociali romani). Però l’eco di Calcare va sempre oltre questa ristretta geografia. Di condivisione in condivisione, è diventato un appuntamento generalista nel palinstesto della Rete.

«La svolta» ricorda Michele «è stata una vignetta su Trenitalia, la storiella ha smosso il rancore collettivo di questo paese e ha fatto 64mila accessi in un giorno». Il suo stile piace ai radical chic del Post (dove lavora il suo scopritore, Makkox), e alla famosa colonna di destra di Repubblica.it, dove Zerocalcare fu accolto proprio per aver preso in giro la colonna di destra di Repubblica in una delle sue strisce

Ma come fanno storie che in teoria non dovrebbero essere comprensibili fuori dal Grande Raccordo Anulare e dal Forte Prenestino a raggiungere un pubblico così vasto? Zerocalcare è bravo, ha ritmo, tempi comici perfetti e un tratto molto riconoscibile. Ma tutto questo non basta a spiegare il suo successo, che sta invece nell’intuizione di aver capito che siamo tutti, chi più chi meno, figli delle tartarughe ninja. Riformisti, black bloc, carrieristi, spacciatori di quartiere, rottamatori scout e fan di Chavez , siamo tutti cresciuti sotto lo stesso ombrello culturale televisivo. Fatto di Cavalieri dello Zodiaco, cartoni animati Disney, videogame, merendine e Dawson’s Creek. «Agli inizi io stesso tendevo a essere politicizzato, e a compartimenti stagni, ero schizofrenico, tenevo fuori una parte della mia vita temendo fosse contaminata, poi ho capito che non ci può essere contraddizione tra il plumcake, Street Fighter e i centri sociali. È tutto lo stesso mondo, essere impegnati non vuol dire essere asceti».  

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