Borsa sì, Borsa no. A pochi giorni dal termine del periodo di offerta, che scade il 30 novembre, fra i grandi azionisti della Sea la via verso Piazza Affari non è tutta lastricata di buone intenzioni. Se il Comune è determinati a procedere alla quotazione della società che gestisce che gestisce gli scali aeroportuali milanesi, la Provincia ha un atteggiamento più “laico” mentre il fondo F2i è più ostile che mai. Il numero uno del fondo specializzato in infrastrutture Vito Gamberale, “don Vito” come lo chiama affettuosamente chi lo conosce da tempo, è un osso duro. E non vuole mollare sul punto.
Per nulla convinto della convenienza dell’operazione, Gamberale ha alzato il livello dello scontro. I due rappresentati di F2i nel cda della Sea – il vicepresidente Renato Ravasio e il consigliere Mauro Maia – hanno scritto alla Consob per evidenziare che nel prospetto informativo mancano «dati sensibili sull’andamento della società», ovvero i numeri del traffico aeroportuale degli ultimi due mesi, che segnalano cali fra il 3 e il 5 per cento. La pronta risposta della società guidata da Giuseppe Bonomi, che ha provveduto a integrare il prospetto sottolineando la stagionalità delle variazioni, non ha stemperato le tensioni.
Il Comune di Milano continua a invitare F2i alla leale collaborazione, anche alla luce dei patti parasociali esistenti. Nei mesi scorsi, Palazzo Marino, grazie all’assessore Tabacci, ha impresso un’accelerazione al cammino di Sea verso Piazza Affari, una tempistica incompatibile con le esigenze di un investitore istituzionale come F2i. Il fondo avrebbe volentieri aspettato per evitare di mostrare ai suoi sottoscrittori, e con l’evidenza pubblica dell’andamento borsistico, di non avere concluso un affarone, quando un anno fa rilevò la sua partecipazione dal Comune di Milano.
Una cosa è certa: Gamberale ha pagato caro il 29,7% di Sea: 385 milioni, che implica un valore di 1,3 miliardi per il 100% contro l’attuale forchetta di valutazione proposta in sede di Ipo (Initial public offering, offerta pubblica iniziale), che va da 800 milioni a 1,075 miliardi. In termini di prezzo unitario, significa un «minimo non vincolante di Euro 3,2 per azione ed un massimo vincolante di Euro 4,3 per Azione, quest’ultimo pari al Prezzo Massimo (l’Intervallo di Valorizzazione Indicativa)», come si legge sul prospetto informativo. Valori che rendono palese come F2i abbia sborsato un prezzo d’affezione per gli aeroporti milanese. Ed è noto che Gamberale è un manager pronto a tutto: tranne a passare per fesso. Al danno del prezzo pagato si aggiunge la beffa: il fondo non è riuscito a salire sopra il 30% prima della quotazione, e per di più è finito sotto i riflettori della Procura di Milano, che indaga sulla vendita del pacchetto. Gamberale e il consigliere del fondo Mauro Maia sono indagati per turbativa d’asta.
Una volta quotata Sea, Gamberale sarebbe costretto all’Opa se volesse superare la fatidica soglia per rendere più saldo il controllo o anche solo per alleggerire in un secondo momento il prezzo di carico della partecipazione acquistando le azioni sul mercato. Partendo dal prospetto, è possibile calcolare le potenziali minusvalenze di Gamberale: dividendo 385 milioni per 74.375.000 azioni, l’attuale al 29,7% di Sea, si ottiene un prezzo di carico di 5,17 euro. Ipotizzando un improbabile collocamento a 4,3 euro per azione, la minusvalenza potenziale di F2i sarebbe dunque di 64,7 milioni, mentre nella parte bassa della forchetta, a 3,2 euro per azione, il rosso è 146,52 milioni. Bella riconoscenza, va dicendo in giro Gamberale, che ritiene, non a torto, di avere tolto le castagne dal fuoco alla municipalità meneghina, quando a dicembre 2011 comprò la quota in Sea dal Comune e contribuì ad alleggerire il debito monstre da 3,9 miliardi, permettendo a Palazzo Marino di rispettare il patto di stabilità interno.
L’ago della bilancia è la Provincia di Milano, che tramite la holding Asam detiene il 14,56% di Sea. Se volesse, l’ente potrebbe far saltare l’operazione Ipo: soprattutto se la valutazione della società sarà inferiore a 900 milioni. Secondo quanto risulta a Linkiesta, F2i avrebbe messo gli occhi sulla quota di Palazzo Isimbardi, per salire al 45% e chiudere così il discorso quotazione. Al contrario, i vertici del Comune di Milano hanno tutto l’interesse ad andare avanti. Non solo perché in futuro potrebbe arrivare un’Opa. A un avvocato penalista di lunga esperienza come è il sindaco Giuliano Pisapia, non sfugge infatti che una valutazione borsistica della società a prezzi inferiori a quelli pagati in asta da F2i renderebbe del tutto evidente che le contestazioni della Procura di Milano sulle modalità dell’asta vinta da F2i non poggiano su basi solide.
L’operazione Sea in Borsa, in ogni caso, presenta non pochi limiti. Alla costituzione del (futuro) flottante concorre il 14,56% messo in vendita dalla Provincia e l’11% circa dall’aumento di capitale deliberato lo scorso 10 ottobre. Al pubblico retail andrà il 15% dell’offerta, mentre il rimanente 85% dovrebbe andare agli investitori istituzionali. L’azionariato post operazione, dunque, vedrebbe Palazzo Marino al 48%, F2i al 26,2%, Provincia e Comuni limitrofi a Malpensa (Gallarate, Busto Arsizio) con quote complessive inferiori al 2 per cento. Sempre dal prospetto, inoltre, è possibile risalire agli intrecci e ai potenziali conflitti fra quotanda e chi cura il collocamento. Banca Imi, l’investment bank del gruppo Intesa Sanpaolo, ha prestato 72,4 milioni a Sea e ha venduto le sue quote nella società autostrale Milano Serravalle ad Asam. Contemporaneamente «detiene una partecipazione superiore al 15% nel capitale di F2i Sgr, società del Gruppo F2i, ha designato un membro del consiglio di amministrazione e uno del collegio sindacale ed ha erogato finanziamenti significativi al Gruppo F2i». O ancora Unicredit: la banca di Piazza Cordusio è azionista di Mediobanca – che fa parte del consorzio – ed è essa stessa tra i curatori del collocamento agli investitori istituzionali. L’istituto è creditore di Sea per 73,4 milioni e detiene una partecipazione rilevante in Gemina, società che controlla gli Aeroporti di Roma, potenziale concorrente di Sea. Il presidente di Gemina, Fabrizio Palenzona, è vicepresidente di Piazza Cordusio, anch’essa azionista di F2i Sgr. Insomma, un groviglio di incroci azionari e interessi in conflitto in stile finanza da salotto buono.
Per attrarre gli investitori, che a dispetto delle promesse delle banche collocatrici pare abbiano bellamente snobbato la presentazione dell’Ipo, l’amministratore delegato di Sea Giuseppe Bonomi ha promesso ai sottoscrittori un pay out (rapporto fra utili distribuiti e utili totali)fino al 70% nell’arco di un triennio. Più generoso di quello assicurato dai gestori degli scali di Francoforte (63%) e di Parigi (50%), e questo senza rinunciare a investimenti per 437 milioni nei prossimi due anni. Un obiettivo decisamente ambizioso.
Nel confronto europeo, gli aeroporti di Milano rivendicano 28,1 milioni di passeggeri trasportati nel 2011 e oltre 13,2 milioni di passeggeri trasportati nel primo semestre 2012: vuol dire una crescita del 4,2% nel 2011 rispetto al 2010, ma una flessione dell’1,3% nel primo semestre 2012 rispetto al primo semestre dell’anno precedente. Sea ha chiuso i bilanci al 30 giugno con ricavi a 322,9 milioni (299,8 milioni al 30 giugno 2011), utili per 22,5 milioni (+7% anno su anno) e debiti per 340 milioni (320 a fine 2011). Numeri che si confrontano con ricavi per 1,8 miliardi (+3,5% anno su anno) e utili per 248 milioni (+10,1%) registrati da Francoforte nei nove mesi del 2012. I ricavi degli aeroporti di Parigi, invece, si assestano a 1,9 miliardi (+4,9%) con un utile di 102 milioni (+191,4% a/a) e debiti a 3,1 miliardi (al 30 giugno).