Bazoli cambia le regole per garantirsi altri tre anni di potere

Bazoli cambia le regole per garantirsi altri tre anni di potere

Bisognerebbe prendere le distanze dalle cose prima che siano le cose a prendere le distanze da noi, dice il saggio. Il professor Giovanni Bazoli, 80 anni suonati il prossimo mese, ritiene però che sia più saggio tenersele strette. Anche se è da trent’anni alla guida una banca che, dopo varie evoluzioni, oggi si chiama Intesa Sanpaolo, Bazoli pensa che il suo tempo non sia ancora venuto. Perciò sta muovendo le sue pedine per garantire il mantenimento dello statu quo per altri tre anni.

Passaggio fondamentale della manovra è il rinnovo anticipato degli organi sociali di Intesa Sanpaolo, che naturalmente concluderebbero il mandato in coincidenza con la prossima assemblea di bilancio, ossia fra aprile e maggio 2013. Termine sui cui sono proiettate anche importanti scadenze politiche, nazionali e regionali. E soprattutto i rinnovi degli organi sociali delle fondazioni che sono socie rilevanti di Intesa: dalla Cariplo di Giuseppe Guzzetti alla bolognese Carisbo, dalla CariPadova alla Carifirenze, il valzer di poltrone e alleanze degli enti azionisti si ripercuote sulla banca.

Politicamente, il momento è delicato e potrebbero venirne forti scossoni agli equilibri di potere delle fondazioni, e a cascata della banca. Da qui la scelta di anticipare il rinnovo del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo: per congelare nel medio termine gli assetti di potere attuali. Questo e non altro è il significato del tour de force avviato da Bazoli: le nomine e le interferenze politiche da evitare sono quelle future che non si conoscono, le logiche da salvaguardare sono quelle dei vigenti equilibri politici e di potere nelle fondazioni.

Quando il professore bresciano dice che «se arriva una richiesta dai maggiori azionisti credo sia a tutela dei loro interessi…», va inteso così: tanto lui quanto le fondazioni hanno l’interesse a garantirsi i prossimi tre anni al comando. Sullo sfondo ci sono poi i personaggi e le relazioni che di prassi pullulano attorno a tutte le fondazioni e alle banche da loro partecipate (incarichi societari, consulenze, forniture).

Il timore di perdere pezzetti di potere è tale che l’intera operazione è stata condita con petizioni altisonanti e allarmismi in stile al-lupo-al-lupo. Con le elezioni politiche, avvertono, c’è «il possibile rischio di una nuova ondata speculativa contro l’Italia e il suo debito sovrano». La grancassa mediatica rilancia: rischio scalata contro le banche italiane, da curare con una megafusione fra Intesa e Unicredit (c’è già nostalgia delle ammucchiate dei tempi che furono?). Non può sfuggire, si dicono da soli, «la cruciale importanza di avere organi di governo insediati e idonei a controllare ogni leva gestionale»: per i successivi tre anni. 

A noi, per la verità, sembrava che il bazooka anti-spread ce l’avesse in mano Mario Draghi. Comunque, sapere che quando scatterà l’ora fatale l’ottuagenario professore bresciano e gli altri 18 membri del pletorico consiglio saranno ai posti di combattimento sulla corazzata Intesa Sanpaolo, come italiani ci fa sentire più sicuri. 

Twitter: @lorenzodilena

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