Come fa la pioggia a trasformarsi in una emergenza? È accaduto lo scorso anno in Liguria, accade in queste ore in Toscana. Automobili e case sono sommerse dall’acqua. L’autostrada è inondata. E un ponte è crollato, uccidendo tre persone. «Quello che manca in Italia», spiega Gian Vito Graziano, presidente del Consiglio nazionale geologi, «è una legge di governo sul rischio idrogeologico che coordini le azioni necessarie in maniera unitaria». Perché, «così come siamo messi ora, è inutile che il comune a valle si mette in sicurezza: se quello a monte non fa lo stesso la frana che viene giù lo colpisce lo stesso».
Presidente, com’è possibile che una pioggia si trasformi in tragedia?
Nel nostro territorio l’arrivo delle nuvole ci viene comunicato dalla protezione civile. Anche perché quella che si è abbattuta in questi giorni in Italia non è proprio una pioggia severa. Dobbiamo chiederci cosa abbiamo fatto in questi anni in termini di manutenzione ordinaria, quasi nulla. È per questo che si creano situazioni come quella di queste ore in Toscana.
Cosa possiamo fare?
Ci sono due strade. La prima è la progettazione di un piano di interventi nazionali per mettere in evidenza le maggiori criticità esistenti sul nostro territorio, soprattutto quelle zone a rischio vicine ai centri abitati. La seconda strada da intraprendere è a livello legislativo: serve una legge di governo sul rischio idrogeologico. La difesa del suolo nel nostro Paese è relegata a una capitolo del Codice ambientale, il decreto legislativo numero 152 del 2006.
E questo cosa comporta?
Il codice ambientale non fa altro che fotografare la situazione, rinnovando le aree a rischio, senza però progettare dei piani pratici di intervento. Questo codice è solo una fotografia, in Italia c’è necessità di fare altre cose.
Ad esempio?
Ad esempio pulire i fiumi di anno in anno per evitare che con una pioggia superino gli argini. In alcuni casi, magari, c’è bisogno di rimodellare l’alveo. Ma queste cose non si fanno perché non si sa neanche chi deve fare cosa.
Chi deve fare cosa?
In questi anni è stato lasciato tutto nelle mani degli amministratori locali, competenti dell’aspetto idrogeologico all’interno dei propri confini amministrativi. Ma il dissesto idrogeologico non rispetta i confini amministrativi. Serve agire per autorità di bacino, cosa che infatti prima veniva fatta. Perché, così come siamo messi ora, è inutile che il comune a valle si mette in sicurezza: se quello a monte non fa lo stesso la frana lo colpisce lo stesso. Serve una visione d’insieme. Altrimenti la forestale continuerà a lavorare per il rimboschimento, i comuni con i pochi soldi che hanno fanno più o meno bene quello che possono, ma non si prendono decisioni importanti per evitare quello che sta accadendo in questi giorni.
Ma dietro le immagini che vediamo ci sono anche responsabilità e incuria.
Certo, il principale problema del nostro Paese è che si è costruito dove non si doveva fare e che si è costruito male pur restando all’interno delle leggi.
Come Consiglio nazionale dei geologi cosa proponete?
Abbiamo costituito una commissione composta da esperti per cercare di trovare una soluzione al problema. Serve una commissione unica come negli anni Ottanta che affronti il problema ed elabori una legge e questo l’ho detto anche personalmente al ministro dell’Ambiente Corrado Clini. Probabilmente non sarà questo governo in carica a lavorare con noi, aspettiamo che il nuovo governo eletto faccia qualcosa. Stiamo cercando di creare le condizioni per non rivedere più scene come quelle di questi giorni.