Dopo i Btp, su Mps pesa il macigno Casaforte

Dopo i Btp, su Mps pesa il macigno Casaforte

Il prossimo 31 dicembre molti clienti di Banca Mps troveranno una delusione sul loro conto corrente. Chi due anni fa aveva comprato obbligazioni Casaforte Classe A scoprirà che la cedola semestrale in scadenza rende meno del 2 per cento. Quella successiva potrebbe scendere all’1,4%, se il tasso Euribor resta sui livelli correnti. Sempre meglio dei tassi pagati sul mercato monetario e sui conti correnti a vista, se non fosse che la scadenza finale di Casaforte (circa 1,5 miliardi di nominale) cade nel 2040. E questo mentre la banca sta dando grande risalto all’offerta di conti di deposito (v. Conto Italiano) che arrivano a pagare fino al 5% sulle somme vincolate per cinque anni.

Fino allo scorso giugno, le obbligazioni Casaforte staccavano una cedola semestrale fissa del 3%, ma da allora sono passate a un regime variabile: fino alla scadenza pagheranno il tasso Euribor 6 mesi più l’1,05 per cento. Per ora, le aspettative del mercato incorporate nella curva dei rendimenti non lasciano troppo spazio per sperare in una risalita dell’Euribor. Nelle filiali, gli operatori più sensibili alle ragioni della clientela non nascondono l’imbarazzo: di fronte alle pubblicità dei depositi quinquennali al 5%, alle offerte della concorrenza o anche al semplice confronto con i Btp, non sono molti gli argomenti per dissuadere un cliente che vuol passare a un prodotto più redditizio.

Casaforte è stato argomento di un attacco a testa bassa da parte del parlamentare leghista Gianni Fava, commissario del Caroccio in Toscana. Fava sta cavalcando populisticamente le ragioni dei 280 dipendenti mantovani del Monte dei Paschi, che secondo il piano industriale della banca senese dovrebbero essere esternalizzati. All’inizio di ottobre, il deputato ha presentato un’interrogazione parlamentare su Casaforte, sostenendo poi di aver ricevuto «pressioni per ritirarla». Ma solo dopo un’urticante intervista del deputato alla Padania del 3 ottobre scorso, l’amministratore delegato di Mps Fabrizio Viola si decide a incontrare Fava. Per dirgli – secondo quanto raccontato dallo stesso manager in un’intervista concessa al Corriere di Siena poche ore dopo – «di evitare, anche nel suo interesse, affermazioni forti su attività e prodotti».

La preoccupazione di Viola. Il tentativo di Viola di lanciare un messaggio rassicurante ai possessori di obbligazioni Casaforte («…un buon livello di remunerazione con un profilo di rischio attenuato da garanzie immobiliari») ha tuttavia lasciato trapelare i timori dell’amministratore delegato: «Francamente non vedo problemi per il sottoscrittore mentre per il futuro la banca dovrà valutare la struttura complessiva dell’operazione». Parole che tradiscono la preoccupazione che circola nelle stanze di Rocca Salimbeni a proposito di Casaforte, un’operazione di cartolarizzazione di mutui ipotecari sul patrimonio immobiliare del gruppo conclusa a fine 2010 sotto la gestione dell’allora presidente Giuseppe Mussari. Il tema è saltato fuori in una delle ultime riunioni del consiglio di amministrazione, messo sul tavolo dall’amministratore delegato Fabrizio Viola. Gli impegni di riacquisto presi con i clienti, infatti, potrebbero tornare indietro come un boomerang e “rimangiarsi” i punti guadagnati sul patrimonio (40 punti base sul coefficiente Tier 1). Ma qui bisogna fare un passo indietro e spiegare la genesi della cartolarizzazione.

Dal Chianti a Casaforte, un’operazione da mal di testa
Nel 2009 l’allora presidente Giuseppe Mussari, che oggi continua a fare il presidente dell’Abi, varò un’«operazione di valorizzazione di parte del patrimonio immobiliare strumentale del gruppo». Lo scopo è far emergere una plusvalenza (405 milioni finiti sul bilancio 2010) e rafforzare il patrimonio di vigilanza (40 punti base a decorrere dal settembre 2011). Era il “Progetto Chianti”, divenato noto al grande pubblico come “Casaforte” dal nome della società utilizzata per emettere le obbligazioni collocate presso il pubblico. 
La banca senese decide cioè di vendere 683 immobili strumentali, che ospitavano e ospitano tuttora le filiali e uffici del gruppo, e poi di prenderli in affitto dallo stesso compratore con contratti di durata di 24 anni. Si procede per gradi. Nel luglio 2009, la banca concede un mutuo ipotecario di 1,673 miliardi a se stessa: per l’esattezza alla propria controllata Mps Immobiliare, formalmente titolare dei 683 immobili e dei contratti di locazione con le società del gruppo Montepaschi. Quindi, gli immobili, valutati 1,718 miliardi, vengono conferiti al Consorzio Perimetro Gestione Proprietà Immobiliari, costituito appositamente dalla banca stessa, con il mutuo relativo e i contratti di affitto. Ma era una vendita vera? Non ancora, tant’è che la plusvalenza di 405 milioni viene rimandata di un anno e affiorerà solo nel bilancio 2010. Dopo un tira e molla con la Consob, Mps riduce all’8% la sua partecipazione al Consorzio, vendendo le azioni a Mediobanca, Axa, Grapevine Real Estate, ai quali si aggiungono più avanti Beni Stabili, Manutencoop, Siram e Net Insurance. Vendita vera? La Consob si convince, ma siccome nella vita si può sempre cambiare idea, Mps si riserva il diritto di riscattare le azioni degli altri soci dal 2020 in avanti, mentre i soci hanno un’opzione di vendita alla data del 31 luglio 2033.
A questo punto manca l’ultima fase, siamo a novembre 2010: Casaforte – una srl con 100mila euro di capitale e un socio unico olandese (una stichting, una sorta di fondazione) – emette 1,56 miliardi di obbligazioni “Classe A” vendute ai clienti di Mps e altri 133 milioni collocati presso investitori istituzionali. Con i soldi incassati dalla vendita delle obbligazioni (che tecnicamente sono degli Abs, asset backed securities) vengono quindi girati a Mps, che in cambio cede a Casaforte srl il mutuo gravante sugli immobili. Il cerchio a questo punto è chiuso. Il gruppo Mps paga gli affitti: fra canoni di locazione (152,7 milioni) e oneri per servizi di gestione immobiliari (33,5 milioni), nel 2011 il conto totale arriva a 186 milioni, dieci milioni in più sul 2010. La variazione degli affitti, si legge nell’ultimo bilancio di Perimetro è dovuta soprattutto alla modifica dei contratti che ha introdotto canoni decrescenti fino al 2026: lo scopo è aumentare la cassa da girare al consorzio in modo da permettergli di pagare le rate del mutuo rilevato da Casaforte. Mps ha poi erogato a Perimetro un altro finanziamento da  1 miliardo di euro a copertura dei rischi di inflazione. Con gli incassi degli affitti, il consorzio Perimetro paga le rate del mutuo a Casaforte, che a sua volta remunera i sottoscrittori delle obbligazioni. Attraverso la cessione degli immobili il consorzio avrà i mezzi per rimborsare, anche anticipatamente, il mutuo a Casaforte. E dal 2020 in avanti, quest’ultima potrà a sua volta rimborsare in via anticipata le obbligazioni. Vale la pena di notare che il valore dei 683 immobili – 1,718 miliardi – è stato stimato dalla Reag, tramite un’analisi a campione (in modo completo solo su 35 unità e tramite verifiche tecnico-amministrative su altre 73 unità). Il tutto è stato poi asseverato, nell’ambito del conferimento del ramo immobiliare di Mps al consorzio Perimetro, da una relazione di stima della PricewaterhouseCoopers. 

I rischi per la banca. La sbandierata cessione del patrimonio immobiliare tramite cartolarizzazione rischia rivelarsi una cessione con l’elastico: di quelle che tornano indietro e fanno male. Come si può leggere nel prospetto informativo di Casaforte Classe A (pagg 100 e ss), la banca si è impegnata a garantire liquidità ai titoli e a riacquistarli «sino a concorrenza dell’intero ammontare degli ordini di vendita per tutta la durata dell’emissione». Lo spiegò bene lo stesso Mussari in una piccata risposta a un articolo del professor Alessandro Penati su Repubblica. «La piattaforma di negoziazione – rivendicò Mussari – permette condizioni di smobilizzo favorevoli grazie al fatto che Mps Capital Services ne sostiene la liquidità attraverso prezzi di riacquisto predeterminati. In particolare, il prezzo del titolo sul mercato secondario sarà costantemente valorizzato allo stesso spread fissato al momento dell’emissione [spread invariato, ndr]. Quindi, anche in situazioni di stress di mercato, il prezzo non subirà variazioni legate a movimenti dello spread creditizio dell’emittente al rialzo o al ribasso, mentre sarà naturalmente influenzato dalle variazioni dei tassi di mercato». Ovviamente, non ci sono pasti gratis sul mercato: se la banca acquista a “condizioni favorevoli” vuol dire che se ne assume rischi e oneri. Fu per questa ragione che la Banca d’Italia attese fino a settembre 2011(v. comunicato) prima di riconoscere i benefici patrimionali tanto attesi da Mps. La Vigilanza pretese che il gruppo stipulasse un «accordo di affiancamento finalizzato a consentire lo smobilizzo delle posizioni detenute oltre il 10% del valore complessivo dei titoli di classe A». L’accordo venne raggiunto con Banca Imi (gruppo Intesa Sanpaolo), che a sua volta si è fatta affiancare da altri operatori. 

L’impatto sul patrimonio. Per la banca sarebbero dolori se i flussi di disinvestimento della clientela non venissero controbilanciati da contestuale ricollocamento presso altri clienti. A causa della garanzia di riacquisto a spread invariato sul 100% delle obbligazioni Casaforte, infatti, l’istituto oggi presieduto da Alessandro Profumo (che è anche uno degli 80 soci de Linkiesta) rischierebbe di perdere i benefici sul patrimonio. E di dover spesare perdite in conto economico. Si tratta ovviamente solo di un rischio potenziale a fronte dell’opzione sostanzialmente emessa a favore dei possessori di obbligazioni Casaforte classe A. Nel 2010 questa potenziale passività venne debitamente iscritta nel bilancio 2010 per 6,3 milioni di euro. Valore allora ritenuto «trascurabile rispetto al valore complessivo dei rischi e benefici associati all’attività cartolarizzata», ma che oggi potrebbe essere maggiore. In base all’accordo imposto dalla Banca d’Italia, se Mps avesse in portafoglio più del 10% dei titoli Casaforte dovrebbe vendere la parte eccedente a Imi: a prezzi di mercato, s’intende, visto che il costo dell’opzione di riacquisto a “spread invariato” rimarrà a carico di Montepaschi.

Quanto vale oggi un’obbligazione Casaforte? Dipende dalla controparte della negoziazione. Al cliente che ha sottoscritto i titoli in collocamento, Mps deve garantire lo stesso spread applicato all’emissione: in soldoni vuol dire che il titolo non risente del peggioramento dell’affidabilità creditizia della banca dal 2010 a oggi. Sul sito di Mps Capital Service, le ultime transazioni sono avvenute intorno a un valore di 96 centesimi: vendendo un’obbligazione da 1.000 euro nominali il cliente riceve 960 euro, al lordo delle commissioni. Nel caso in cui Mps fosse costretta a girare i titoli a Banca Imi, però, le cose cambierebbero. Valutare un Abs è piuttosto complesso, il titolo beneficia delle garanzie ipotecarie, il cui valore riflette quello degli immobili. Due anni fa, le obbligazioni esordirono con un rating di A- (Fitch), in linea con la banca senese. E ne hanno seguito le sorti, visto che la solvibilità di Casaforte dipende dalla capacità di Mps di pagare i canoni di locazione al consorzio Perimetro. Lo scorso febbraio, Fitch ha ridotto il giudizio sui titoli a BBB, con prospettiva stabile. Nel valutare Casaforte, dunque, il mercato, non può ignorare il peggioramento dell’affidabilità creditizia del Monte. Secondo quanto Linkiesta ha appreso dal desk Fixed income di una primaria banca di investimento, il titolo potrebbe valere non più di 69 centesimi. La valutazione è stata effettuata considerando la dinamica delle curve forward per stimare il tasso Euribor 6 mesi. L’importo delle cedole semestrali e del capitale da rimborsare è stato poi attualizzato a un tasso che considera il rischio Casaforte equivalente a quello dei Btp (non essendoci riferimenti sul mercato titoli Mps di scadenza paragonabile). Se invece, lo si si assume equivalente a quello di Intesa Sanpaolo, il valore scende a 66 centesimi. La differenza fra quanto la banca si è impegnata a riconoscere al cliente in caso di vendita di Casaforte e la valutazione di mercato è di circa 30 centesimi: e sarebbe tutta a carico di Mps. 

Ecco perché le filiali hanno un ordine imperativo: per ogni cliente che vende, occorre trovare un altro che compra. L’accumulo di Casaforte sarebbe un altro macigno sulla Rocca Salimbeni, che si aggiunge al peso già gravoso e poco remunerativo del portafoglio di Btp. Proprio a causa di questa partita di titoli, proprio oggi la banca ha annunciato che chiederà altri 500 milioni di Monti bond, saturando quindi l’importo massimo previsto di 3,9 miliardi. L’incremento, viene spiegato, «è motivato dai possibili impatti patrimoniali» della revisione di «talune operazioni strutturate poste in essere in esercizi precedenti» aventi per sottostante titoli di Stato. Ma il comunicato è piuttosto generico e il mercato è in attesa di maggiori dettagli. Il riferimento, probabilmente, è ai 25 miliardi nominali di Btp su cui è stata costruita una struttura di asset swap. Un’altra costosa eredità dei tempi di Mussari, che oggi la banca vuole rinegoziare. 

Twitter: @lorenzodilena

SCHEMA DELL’OPERAZIONE CASAFORTE

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