FonSai, un’analista lanciò l’allarme già nel 2009

FonSai, un’analista lanciò l’allarme già nel 2009

Il 5 ottobre 2009 c’era chi aveva visto in quale guaio s’era cacciata Fondiaria Sai. No, non è era l’Isvap, l’autorità di vigilanza delle assicurazioni guidata da Giancarlo Giannini. È un’analista finanziaria italiana, laureata nel 2001 all’Università Bocconi, che vive e lavora a Londra: Giulia Raffo è il suo nome, Autonomous Research la società di ricerca indipendente per cui ha scritto «Troublesome inheritance», eredità problematica. 

Ecco cosa scriveva Raffo a proposito di FonSai il 5 ottobre 2009 

Una dettagliata analisi e una prospettiva storica sulle riserve tecniche dell’Rc auto di Fondiaria Sai ci rende molto prudenti sull’eredità passata del gruppo. Riteniamo che Fondiaria Sai sia stata troppo ottimistica nel contabilizzare gli incidenti degli ultimi due anni (2007 e 2008), cosa che… lascia il gruppo con poche opzioni… Stimiamo un deficit delle riserve di circa 400 milioni sul portafoglio Rc auto alla fine del 2008 (…), utilizzando il 2004 come anno di partenza dei calcoli.  (…) A seconda che si usi il 2005 o il 2003 come punto di partenza, il deficit implicito delle riserve tecniche Rc auto va da 100 milioni a 1,1 miliardi di euro. 
[Leggi qui il report integrale di Autonomous Research su Fon-Sai]

Autonomous Research sollevava il tema delle riserve tecniche del portafoglio Rc auto di FonSai, compagnia che sui bilanci 2009-2010-2011 sarà costretta a fare emergere perdite per 2,5 miliardi di euro. Le riserve tecniche sono i soldi che ogni anno una compagnia assicurativa mette da parte per far fronte ai risarcimenti connessi agli incidenti che via via si verificano. Poiché chiudere una pratica può richiedere anni, se si sottostima il costo di un incidente (“il sinistro”) nell’anno in cui accade, si ha un beneficio nell’immediato (= più utili), ma si rinvia il problema al futuro. Questa prassi insana, se prolungata nel tempo, crea una voragine che prima o poi dovrà emergere.

Il report firmato da Raffo (nella foto a sinistra) è stato pubblicato quindici mesi prima del 17 gennaio 2011, data in cui l’Isvap decise di estendere «alle procedure che regolano le principali fasi del ciclo sinistri del ramo R.C. Auto» l’ispezione cominciata il 4 ottobre 2010 e inizialmente concentrata sul sistema di governo della società. Nel report, che conteggia il deficit di riserve a fine 2008, vengono delineati tre scenari: uno base, con un buco stimato per 400 milioni, e che ha come hanno di partenza il 2004; uno ottimistico, ma ritenuto poco prudente, che fa partire i conti dal 2005 e ipotizza un deficit di soli 106 milioni; e uno scenario molto negativo, che invece tira indietro le lancette al 2003. In quest’ultimo caso, il metodo utilizzato da Raffo portava a stimare una carenza di riserve di 138 milioni nel 2004, di 234 milioni nel 2005, di 52 milioni nel 2006, di 350 milioni nel 2007 e di 322 milioni nel 2008: il conto totale fa 1.096 milioni di euro. A pagina 8 del report, l’analista si dichiarava more comfortable con lo scenario base. Significativa, comunque, la precisione delle stime contenute nello scenario peggiore: il deficit stimato di 1.096 milioni si confronta con circa 1.170 milioni complessivi della rivalutazione delle riserve tecniche per i sinistri di vecchia generazione, che FonSai ha fatto emergere lentamente nei bilanci 2009-2011 (1.570 milioni totali meno 400 milioni attribuibili ai sinistri post-2008).

Il temaè lo stesso su cui si concentra l’inchiesta giudiziaria della Procura di Torino, che a carico di Giannini ipotizza il reato di falso in bilancio in concorso con gli amministratori di Fondiaria Sai. In un’intervista rilasciata al Sole 24 Ore lo scorso 13 aprile, Giannini respingeva come «velenose e strumentali» le critiche rivolte all’Isvap: «Come si può pensare – chiedeva retoricamente – che la nostra vigilanza possa riassumere e svolgere un ruolo di supplenza» di amministratori, sindaci, auditing interno, revisori? Giannini apriva in effetti una vasta questione. Ma le autorità di vigilanza esistono non per teorizzare ma per prendere provvedimenti.

Era dunque proprio impossibile capire che dentro Fondiaria Sai si fosse aperta una voragine nei conti? Per l’uomo della strada, certo. Ma l’Isvap gode di poteri di vigilanza e di possibilità di accesso agli atti che nessun investitore può avere. Il bello di tutta questa storia è che per trarre le sue conclusioni Raffo non ha avuto accesso ad alcuna informazione riservata. Non ne aveva il potere. Ha avuto però testa e volontà per offrire un servizio intellettualmente onesto ai clienti: e del resto Autonomous Research vive esclusivamente di questo. 

Per giungere alle sue conclusioni, Raffo si è basata su informazioni pubbliche: i numeri della stessa Fondiaria Sai, contenuti nei bilanci e nelle relazioni periodiche; e quelli di settore pubblicati dall’Ania, l’associazione delle imprese assicurative. Il «drammatico incremento» dell’incidenza percentuale dei sinistri pagati rispetto al costo annuale dei sinistri era stato il primo campanello d’allarme: i pagamenti aumentavano, non la spesa annuale dei sinistri, il che confermava il sospetto di una politica di riservazione allegra. L’analista ha poi confrontato la traiettoria temporale dell’efficienza gestionale (combined ratio) dichiarata da FonSai con quella risultante dall’interpolazione fra trend delle tariffe, frequenze e costo medio dei sinistri. Anche qui i conti non tornavano: i dati ufficiali della compagnia, che già all’epoca rappresentava un quarto del comparto Rc auto italiano, andavano a parare sempre dove non era logico aspettarseli. 

Il report firmato da Raffo fece rumore fra gli addetti ai lavori. I concorrenti di Fondiaria Sai trovarano una risposta a una domanda che da qualche tempo li assillava: come faceva la compagnia dei Ligresti a contabilizzare un costo medio del riservato per sinistro più basso della media del settore in Italia? In sostanza, mediamente, per ciascun sinistro Fon-Sai aveva ipotesi di costo più ottimistiche del mercato: custodiva forse un vantaggio competitivo segreto che sfuggiva ai concorrenti? Col tempo si è visto che non era così. 

Ma come è stato possibile che all’Isvap nessuno si accorgesse o quanto meno mostrasse curiosità verso un’anomalia di operatore così rilevante? Se lo avessero fatto, avrebbero potuto richiamare i Ligresti e l’allora amministratore delegato Fausto Marchionni a una gestione industriale corretta. E invece FonSai proseguì con questa sorta di “gioco dei secchielli”: spostando la sabbia da uno all’altro, a piacimento. Via via che le pratiche passate si chiudevano, giungendo all’incasso, si correva a mettere una pezza sul passato, rivalutando le riserve sui sinistri degli anni precedenti (= più costi) e sottostimando invece i costi dei sinistri dell’esercizio in corso.

Fra i grandi investitori chi studiò attentamente il report di Raffo/Autonomous fece per tempo a prendere le distanze dal titolo, ed evitò perdite milionarie. I funzionari dell’autorità di vigilanza, a cui era stato mostrato, vi buttarono distrattamente un occhio e fecero spallucce. I concorrenti di FonSai capirono che non avevano nulla da temere: prima o poi il bubbone sarebbe scoppiato. I vertici della compagnia, infine, non la presero bene. Si racconta che, prima della pubblicazione del report, nel corso di una di quelle teleconferenze che le società quotate organizzano contestualmente alla pubblicazione dei risultati, Raffo chiese all’a.d. Marchionni chiarimenti sulle riserve tecniche della compagnia, esprimendo qualche perplessità sul loro andamento. Il manager e professore a contratto di Economia degli intermediari finanziari all’Università di Torino si irritò: «Signorina – rispose con sarcasmo – le suggerisco di leggere il libro che ho scritto io, così capisce come girano le riserve». Chi volesse istruirsi sul tema può chiederlo in libreria: «L’impresa assicurativa. Fabbrica, finanza e ruolo sociale», edizioni Sole 24 Ore, prezzo di copertina 35 euro. 

Twitter: @lorenzodilena

Il report di Autonomous Research che lanciò l’allarme sui conti di Fon-Sai nell’ottobre 2009

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