I lobbisti: “Per distinguerci da Bisignani il traffico d’influenza non basta”

I lobbisti: “Per distinguerci da Bisignani il traffico d’influenza non basta”

Lobby di dio, lobby dei grembiulini, lobby della pubblica amministrazione, lobby degli enti locali, degli avvocati, dei farmacisti, dei medici,dell’energia, del tabacco e delle multinazionali del fumo, dell’editoria, dei rifiuti. La lista è lunghissima. E poi grandi e piccoli faccendieri, tanti Bisignani, Lavitola, Tarantini e amici di amici di amici.

È un pianeta a due emisferi, uno oscuro e intricato che si oppone a ogni tentativo di regolamentazione, l’altro trasparente e professionale che invoca codici etici e registri, quello di quanti, in nome dei propri gruppi di interesse, cercano di esercitare la loro influenza sui centri nevraligici decisori del nostro paese: governo e parlamento. Ombre e luci di una galassia intricatissima e nebbiosa per la quale comunque potrebbe cominciare da oggi un’era nuova, si spera all’insegna di una maggiore trasparenza dopo l’approvazione definitiva della Legge anticorruzione.
 
Il bene vincerà sul male? Se lo augurano quelli che si definiscono lobbisti veri, 1.500 professionisti secondo alcune stime, che da tempo si battono per normare la loro attività e non essere confusi con i tanti maneggioni, che conoscono tutte le debolezze della casta e sanno bene come utilizzarle per trarne vantaggio.

Se lo augurano i grandi studi professionali e se lo augura la lobby del settore da sempre in prima linea nel segno della glasnost, quella che si riconosce nell’associazione il Chiostro, che, anche da un punto di vista terminologico, si propone come alternativa etica alla parola lobby (che deriva da lobia, latino medievale, che vuol dire loggia, ma anche passaggio,corridoio).

«Siamo d’accordo con l’introduzione del reato di traffico illecito di influenze – dice il presidente del Chiostro, Giuseppe Mazzei – la formulazione è stata migliorata anche grazie alle nostre critiche costruttive. Ma non ci stancheremo mai di ripetere che c’è bisogno di una legge ad hoc o almeno di un registro nazionale». E poi: «la legge sulla corruzione bastava di per sé – sostiene Carlo Buttaroni dell’Istituto di ricerca e comunicazione pubblica Tecnè – questo articolo non risolve niente. È necessaria una normativa che regolamenti tutta quanta l’azione di lobbing, rendendola tracciabile. Altro non serve. Dipende esclusivamente dal termometro morale del decisore».

Notevoli perplessità nutre il giurista Antonino Battiati. «Il reato di traffico illecito di influenze –sottolinea – così come è formulato, mi suona in contrasto con i principi costituzionali e mi pare che sacrifichi completamente la figura del lobbista, che non ha spazio di intervento. Insomma: senza una regolamentazione, una legge specifica, non mi sembra che regga».

«Questo nuovo reato rende ancor più ambigua la situazione. E più urgente che mai a questo punto – spiega un lobbista – l’introduzione di un registro che documenti le nostre attività. Regolamentarci porterebbe enormi vantaggi al nostro sistema economico. Se fossero garantite a tutti i gruppi di pressione pari opportunità il meccanismo della concorrenza ne trarrebbe vantaggio con conseguenze sul Pil che potrebbe addirittura aumentare di un punto». Chi rema contro? «Naturalmente faccendieri, ex parlamentari e amici degli amici».

Un primo registro comunque c’è già. Ed è stato istituito presso il Ministero dell’Agricoltura. Assicurano che sarà presto consultabile e che i documenti prodotti dalle lobby dovranno essere consegnati all’Unità per la Trasparenza. Più avanti in questa direzione, le Regioni, capofila la Toscana, che ha una legge sulle lobby dal 2002. Molise e Basilicata sembrano intenzionate a seguirne l’esempio.

Ma tutti questi paletti funzioneranno? Ammette disincantato un deputato, che vuole conservare l’anonimato che «non si può credere di regolamentare le relazioni umane». «Ci sono tantissime proposte di legge sulla materia – spiega –  abbiamo anche studiato vari modelli. Nessuna va davvero al nocciolo della questione, che è la modalità dell’azione di lobbing. Qui è il punto. Non si può prescindere da amicizie, da conoscenze. Come si fa a parlare di traffico illecito di influenze? Per fare un esempio. Se un mio amico, lobbista o traffichino, incontrato a una cena o a una partita a tennis, in due minuti mi spiega come aggiustare un provvedimento sull’energia pulita o sui rifiuti o sui farmaci, che faccio non lo sto a sentire? E se finirà per influenzarmi, com’è che verrà stanato? Devo essere io a tenerlo a bada. Devo essere io a chiedergli di ufficializzare la sua proposta. Quindi il problema è a monte. La barriera la dovremmo innalzare noi parlamentari. O coloro che hanno potere di decidere».

Sì, perché troppo spesso tutto avviene in privato, one to one. Il relatore di un disegno di legge viene contattato dai singoli lobbisti. E per un deputato o un senatore è un’opportunità: non solo perché il lobbista fa risparmiare figuracce, conoscendo meglio la materia tecnicamente, ma anche e soprattutto per la relazione di do ut des informale e inevitabile che si stabilisce. E c’è dell’altro: «Ci sono certi lobbisti, più vicini in questo caso ai faccendieri, che si rivolgono non direttamente a noi, ma ad altre figure». Di solito «il grande rito si consuma nei salotti romani o nelle sale riservate dei grandi ristoranti, protagonisti emissari poco riconoscibili. È proprio questo che va impedito». Cosa fare? Intanto vediamo che frutti darà l’introduzione di questo nuovo reato. 

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