Un «ottimo risultato», sostiene l’ex ministro degli esteri Gianni De Michelis, anche per la posizione strategica che, in questo modo, si è guadagnata l’Italia. Votare “sì” per l’ingresso della Palestina all’Onu come Stato osservatore è stata una scelta lungimirante. Soprattutto dal punto di vista dei negoziati che l’Italia potrà sostenere nell’area: «è un’occasione che non poteva essere persa», spiega a Linkiesta. De Michelis, ministro della prima Repubblica, socialista, aveva una visione di ampio respiro sui paesi mediorientali.
Giusto votare “sì”.
Certo. Condivido e approvo la decisione dell’Italia all’Onu. Per tanti motivi. Va in una direzione che permette sviluppi interessanti nella zona. E ridà forza al ruolo di Abu Mazen nelle trattative per la pace, che invece la politica di Israele ha tentato, ultimamente, di isolare. Dà anche una buona opportunità all’Italia.
Di che tipo?
Di tipo geostrategico. Può inserirsi nel nuovo contesto geopolitico, che è molto cambiato da quando ci sono state le primavere arabe. In Tunisia, e soprattutto in Egitto, paesi che rivestono un ruolo decisivo nel mondo arabo-islamico e che avranno la possibilità di dialogare con l’Italia. Tra i paesi che hanno votato sì c’è anche la Francia, che però ha meno spazio per svolgere il proprio ruolo di mediazione in medio-oriente, come si vede in Siria. Per l’Italia era giusto così: era una opportunità da non perdere.
Israele, però, era contrarissima.
Credo che la questione sia più complessa. Io non condivido la posizione del governo israeliano, che è determinata più dalla politica interna che da un approccio di largo respiro. Anche la posizione assunta sugli insediamenti non ha nulla a che fare con la sicurezza, ma molto con le prossime elezioni. Sarei cauto, in questo senso. Per il resto, la direzione è quella.
Cioè?
Due popoli, due stati.
È davvero possibile?
Sì, credo di sì. Una situazione che diventa probabile anche grazie a quello che sta succedendo nei paesi vicini. Le primavere, appunto, a mio avviso, favoriscono un clima in cui Israele può inserirsi per trattare, e stabilire la pace, attraverso la politica. In questo senso, l’istituzione dello stato palestinese conviene anche a Israele.
Sembra difficile.
Lo è. Ma, ripeto, non è impossibile. Pensi che Ehud Olmert, prima che venisse travolto da problemi interni, era su questa linea, e ci è andato vicino. Del resto, si è visto che cosa è successo con il ruolo svolto dal presidente egiziano Morsi, nell’ultimo scontro su Gaza. La Fratellanza Musulmana e Hamas appartengono, diciamo, alla medesima famiglia. Morsi è riuscito a trovare i termini per una tregua tra Israele e Hamas. Questo è confortante, se si pensa che tra l’ipotesi di Hamas che trascina l’Egitto e quella in cui l’Egitto traina Hamas, è prevalsa la seconda. Anche questo conviene a Israele.
C’è di mezzo anche l’Iran, però.
Sì, ma le sanzioni che ha subito hanno inciso molto più di quanto non si dica. Non è da escludere che si ravveda a più miti consigli. E poi, c’è la Siria. Se verrà a mancare lo stato suo alleato nel medioriente, la sua posizione sarà senz’altro più debole. Non avrà altra scelta se non il dialogo. E Obama, in quel caso, saprà andare nella direzione del negoziato.
Insomma, nel medio lungo periodo le cose si risolveranno?
Il negoziato complessivo non potrà che, in qualche modo, rimettere tutte le caselle a posto. E, in più, noi ci saremo.