I produttori di sigarette, almeno, lo scrivono ben in evidenza: che il fumo può provocare danni. I produttori di strumenti finanziari, no. In Italia, per esempio, tramite una triangolazione con l’estero, una banca può vendere prodotti assicurativi che hanno una probabilità del 70% di provocare perdite del risparmio investito. E battezzarli, forse per gusto del paradosso, “Prospettiva Protetta”. L’avvertenza sugli elevati rischi di perdite? Non a caratteri cubitali come sui pacchetti di sigarette, ma nelle pieghe di un documento lungo più di un centinaio di pagine.
Tutto questo succede davvero: negli sportelli italiani del gruppo Intesa Sanpaolo. Il prodotto in questione è Intesa Sanpaolo Life Prospettiva 07/2011: una polizza di tipo unit-linked. Cioè, un contratto assicurativo da un punto di vista giuridico-formale, in realtà uno strumento a contenuto quasi esclusivamente finanziario, che investe in fondi interni della compagnia. (v. la voce Unit-linked e Index-linked sul sito dell’Ania). Nel caso della polizza attualmente distribuita dal gruppo Intesa, che lo scorso maggio ha depositato il prospetto d’offerta alla Consob, il cliente può scegliere fra 21 fondi di investimento interni, suddivisi in cinque aree: Profilo, Flessibile, Innovazione, Personalizzata, Protetta. È proprio quest’ultima area a riservare una prospettiva sorprendente. Soprattutto per un istituto presieduto da un banchiere, Giovanni Bazoli, che ha fatto della responsabilità sociale e dell’etica uno dei pilastri della sua idea di “capitalismo temperato”, e guidato da un amministratore delegato, Enrico Cucchiani, che vanta una lunghissima esperienza nel settore assicurativo.
Polizza «protetta» ma non garantita. La denominazione «El Prospettiva Protetta» potrebbe far pensare all’esistenza di garanzie sul capitale. Non è così. L’impresa di assicurazioni, la controllata irlandese Intesa Sanpaolo Life Ltd, «non offre alcuna garanzia di rimborso, totale ovvero parziale, del capitale investito» e men che meno di rendimento minimo. È previsto invece un meccanismo di “immunizzazione” piuttosto complicato: viene garantito che «il valore unitario di quota… non risulti inferiore al 90% del massimo valore di quota raggiunto dal fondo stesso a partire dalla data della sua costituzione (“valore protetto”)».
Ma in concreto qual è la prospettiva dell’investimento? La risposta si trova a pagina 20 del prospetto d’offerta, nella tabella dei cosiddetti scenari probabilistici dell’investimento al termine dell’orizzonte temporale consigliato (quattro anni). La probabilità che con “El Prospettiva Protetta” un risparmiatore abbia un rendimento negativo, e quindi dopo quattro anni incassi meno di quanto investito, è del 69,45 per cento. C’è invece una probabilità dell’8,14% che il rendimento sia positivo ma inferiore a quello di un’attività priva di rischio (titoli di stato) e del 17,04% che il rendimento sia in linea con quello di un titolo di stato. La probabilità che questa complicata polizza renda più di un titolo di stato di pari orizzonte temporale è appena del 5,37 per cento. Per capire meglio il grado di rischio, si può ipotizzare il caso di un soggetto che investa 10mila euro. Questo risparmiatore ha una probabilità del 69,45% di incassare 9.616 euro dopo quattro anni (l’ipotesi peggiore), e una probabilità del 5,37% di incassare 11.439 euro (l’ipotesi migliore, ma anche probabilisticamente più risicata). Per assicurarsi tale “prospettiva” il cliente pagherà una commissione di gestione dell’1,755% annua.
Allora perché chiamarla polizza assicurativa? Miracoli dell’innovazione finanziaria: uno strumento storicamente nato per dare sicurezza è stato trasformato in un contenitore con finalità finanziarie (massimizzare il risultato, in teoria). Il cappello di polizza assicurativa è dato dalla presenza di una clausola detta “caso morte”: cioè in caso di morte dell’assicurato, ai beneficiari è liquidato il controvalore delle quote, più una maggiorazione. Nel caso specifico, la copertura assicurativa costa lo 0,045% annuo. Se l’assicurato muore ed ha un’età fra 18 e 40 anni, ai beneficiari sarà liquidato il controvalore delle quote del fondo in quel momento, più il 13,5 per cento. La maggiorazione si riduce con il crescere dell’età dell’assicurato (p. es. 6,5% per la fascia d’età 41-60 anni). Anche alla luce di questa maggiorazione caso morte, tuttavia, chi comprerebbe un prodotto che costa complessivamente l’1,8% l’anno, e ha una probalità di quasi il 70% di perdere parte del capitale investito?
La banca minimizza il significato degli scenari probabilistici, in linea peraltro con un orientamento sposato dal presidente della Consob Giuseppe Vegas. «Le valutazioni di rendimento vengono effettuate sulla base di ipotesi di calcolo particolarmente restrittive, che non permettono di differenziare i rendimenti attesi delle diverse asset class in cui investe il fondo – riferiscono fonti di Intesa Sanpaolo – Ne deriva che, per esempio, il rendimento associato all’asset class azionaria risulta identico a quello della componente monetaria». Il successo dell’azione lobbistica a livello europeo delle banche ha già portato all’eliminazione degli scenari probabilistici dai prospetti delle obbligazioni, e presto potrebbe essere il turno delle polizze. Il tema è complesso, e anche tenendo conto dei limiti dello strumento, non si può non rilevare una contraddizione: perché chi vende prodotti finanziari e assicurativi e le autorità di vigilanza vogliono privare i risparmiatori di un’informazione di facile comprensione, peraltro utilizzata dalle stesse banche e assicurazioni per decidere a che prezzo vendere i prodotti in questione?
Triangolazione irlandese. Resta, infine, un’ultima questione: il ricorso a una controllata irlandese per emettere le polizze Intesa Sanpaolo Life Prospettiva. Il gruppo di Bazoli e Cucchiani dispone infatti in Italia di società assicurativa, la Intesa Sanpaolo Vita spa. La fiscalità potrebbe essere una ragione, ma non basta da sola a giustificare la scelta di emettere la polizza in Irlanda. Il resto della spiegazione va ricercata, forse, in un possibile arbitraggio normativo. Dopo anni di far west, in Italia l’Isvap ha imposto che le polizze unit-linked e index linked «devono essere semplici e soddisfare il requisito di agevole comprensibilità da parte del contraente» (Regolamento 32, art. 6). Inoltre, mentre in Italia le compagnie sono di fatto obbligate dall’autorità di vigilanza a mettere da parte capitale pari al 4% di ciascuna polizza emessa; in Irlanda l’emissione di queste polizze non assorbe capitale. Per evitare di incorrere in accuse di elusione normativa, molti gruppi italiani triangolano l’operazione con un intermediario esterno, in modo che l’attività assicurativa sia svolta formalmente da una compagnia estera in regime di libera prestazione dei servizi in ambito europeo tramite un distributore terzo. Così l’operazione pensata dall’Italia viene recepita a Dublino, da qui il prodotto esce e, passando per un broker, nel caso specifico la filiale italiana della Marsh, arriva agli sportelli di tutte le banche del gruppo Intesa Sanpaolo. Formalmente, sembra ineccepibile. Nella sostanza, il gruppo Intesa deva pagare a Marsh il 2,29% di ciascun versamento dei cliente, più una quota-parte delle commissioni di gestione annue. Nel 2011, il 62,6% delle commissioni generate dal fondo Prospettiva Protetta è stata retrocessa da Intesa Sanpaolo alla Marsh: per risparmiare sul capitale bisogna fare guadagnare qualcun altro. Triangolare costa.
Twitter: @lorenzodilena