“L’Economist ha torto, noi francesi non siamo i malati d’Europa”

“L’Economist ha torto, noi francesi non siamo i malati d’Europa”

PARIGI – Perfida Albione. L’espressione, contrariamente a quanto si possa credere, non l’ha certo inventata Mussolini per definire i continui voltafaccia politici dell’isola dalle bianche scogliere ma un curato francese del XVII secolo, Jacques-Bénigne Bossuet. E non aveva completamente torto il buon Bossuet che pur si riferiva a dispute però d’altra natura (religiosa). Dalla battaglia d’Azincourt del 1415 (in cui gli inglesi sterminarono i cavalieri francesi prigionieri mentre il codice d’onore voleva che li si risparmiasse in cambio del pagamento di un riscatto), passando per l’affronto del 1755 (quando cioè gli inglesi, senza dichiarare guerra, catturarono 300 navi mercantili francesi facendo prigionieri 6.000 marinai) fino all’operazine Catapult del 1940 (che gli inglesi lanciarono nonostante si fosse appena firmato un armistizio e che provocò la morte di 1.300 marinai) i colpi scorretti dei perfidi inglesi alla Francia sono stati molteplici.

Non ultimo, quella copertina dell’Economist che i cugini d’oltralpe fanno ancora fatica a digerire, con la foto in bella posta di un fascio di baguette e una miccia accesa con il titolo: «Un bomba a orologeria nel cuore dell’Europa». In realtà ad aver esacerbato gli animi non è tanto l’aver constatato che la situazione economica della Francia si deteriora a vista d’occhio o il fatto che il paese tarda a intraprendere serie riforme per evitare tensioni sociali (cosa sotto gli occhi di tutti, anche dell’attuale governo) ma il fatto che per il settimanale economico britannico, più che l’Italia, la Spagna o la Grecia «è la Francia che potrebbe provocare la caduta dell’euro». Colpo scorretto e quantomeno eccessivo, commentano al di là della Manica.

Non è certo la prima volta che l’Economist si scaglia contro il paese di Voltaire. Ad esempio, molti ricorderanno la copertina in stile parodia di «Déjeuner sur l’Herbe» del pittore Manet con Hollande e Sarkozy a fare picnic e discorrendo amorevolmente sul prato in attesa dell’imminente catastrofe economica che sta per abbattersi sul paese (già a partire dall’anno prossimo minaccia il settimanale). E se Sarkozy, in un’altra copertina, appariva come un nano con copricapo napoleonico dal quale fuoriuscivano solo i piedi (ma in realtà il suo famoso tacco era per non sembrare troppo nano non rispetto all’Europa ma rispetto a Carlà), anche verso il socialista Hollande il settimanale britannico non era stato molto più generoso dato che lo aveva già qualificato come «piuttosto pericoloso».

Durante la conferenza stampa per i primi sei mesi all’Eliseo un giornalista aveva pure chiesto al neopresidente se l’«Hollande bashing» fosse il nuovo sport preferito dagli inglesi, ricevendo una risposta presidenziale ironica improntata non allo british humour ma alla tipica ‘nonchalance’ francese. Ma al di là dello british humour che qui in Francia non gode di buon seguito, humour che non fa ridere i francesi e che ha scatenato risposte istituzionali piccate (e piccanti) – «Oltraggio per vendere più copie» aveva tuonato Jean-Marc Ayrault, «caricature degne di Charlie Hebdo» (quello delle caricature di Maometto per intenderci) aveva detto Arnaud Montebourg – ci si chiede se le critiche dell’Economist siano fondate o meno.

Intanto è inutile nascondere che oramai anche la Francia sia entrata nel mirino dei mercati soprattutto dopo che l’agenzia statunitense Moody’s ha declassato il rating della Francia da tripla A ad AA1 (cui segue il downgrade di Standard&Poor’s del Gennaio scorso). Ma se la situazione economica della Francia non è tutta rose e fiori non è nemmeno così catastrofica come i ‘perfidi inglesi’ di Economist vorrebbero far credere. L’economia è certo stagnante (la Francia non cresce da oltre 10 anni), il peso della macchina statale è eccessivo, l’apparato burocratico è elefantiaco, la pressione fiscale sui salari è smisurata e se a questo si aggiunge che la disoccupazione avanza senza sosta e che il debito pubblico della Francia è tra i più alti d’Europa, il quadro fosco è completo. In realtà, non c’è niente di nuovo in quello che dice The Economist.

Questi dati infatti erano già stati pubblicati nel rapporto Gallois che ad inizi del mese aveva lanciato l’allarme: per migliorare la competività è necessario tagliare tasse sul lavoro per almeno 30 miliardi. Ma a fronte di una disoccupazione che colpisce il 10% della popolazione attiva (ovvero circa 3 milioni di persone, il livello più alto mai registrato dal 1999) e di una spesa pubblica che si attesta al 56% del pil (il livello più alto in Europa) quello che non dice The Economist è che la Francia dispone di uno dei sistemi di protezione sociali più avanzati e generosi d’Europa (ma anche uno dei più costosi, secondo solo a quello danese) e che il governo già si è impegnato a ridurre la spesa pubblica di 12 miliari di euro l’anno puntando a recuperare 60 miliardi nell’intero quinquennato di Hollande (che corrispondono a 3 punti del pil) e a ridurre il suo deficit a 3% del pil nel 2013 (quello inglese è del 7,2% del pil). A questo va aggiunto che i tassi d’interesse della Francia sono scesi, quelli a breve termine addirittura sono al livello più basso e ciò permetterà alla Francia di economizzare 2,4 miliardi di euro nel 2012.

Per Philippe Askenazy, economista presso il Cnrs di Parigi e presso la Paris School of Economics, le critiche inglesi appaiono eccessive, perché se anche la Francia non è la prima della classe in Europa, essa non è certo l’ultima ed accusarla di trascinare l’Europa verso la caduta dell’euro sembra davvero ingeneroso. «Non è la prima volta che The Economist attacca la Francia – dice Philippe Askenazy – il settimanale sembra più che altro infastidito dalla maniera in cui la Francia sta attraversando la crisi, ovvero senza enormi tensioni sociali, avendo un tessuto economico più spesso e una società più solidale. Malgrado la crisi profonda, rispetto agli altri paesi europei la situazione economica francese è piuttosto buona, il tasso di disoccupazione è alto ma non così alto rispetto alla media del resto d’Europa. La crescita economica francese non è migliore ma neanche peggiore di quella inglese, il numero di giovani disoccupati in Inghilterra è addirittura superiore al numero di giovani disoccupati in Francia (parlo di numero di giovani non di tasso di disopccupazione) e la politica economica di Cameron non sembra dare grandi risultati rispetto a quella di Hollande, che pure è una «non politica» in quanto eccessivamente prudente a mio avviso. Ma di lì a dire che la Francia farà sprofondare l’Euro ce ne passa. L’ostilità di The Economist credo derivi dal fatto che la Francia, in questa crisi economica, ne sta uscendo tutto sommato fin troppo bene.»

E la gente comune? Decenni di politiche a vantaggio delle famiglie, a protezione del lavoro e dei salari, un concetto di società basato principalmente sulla solidarietà sociale e sul superamento del paradigma della crescita senza limiti non possono essere spazzate via in quattro e quattr’otto. Assodato che in Francia non ci siano le tensioni e le manifestazioni che si vedono altrove in Europa ( e non escludendo che possano scoppiare da un momento all’altro) va detto che già nel concetto di ‘citoyen’, nato dalla Rivoluzione francese, ci sia un’idea federativa, un civismo che forse è sconosciuto da noi in Italia (ma anche nell’ultraliberale Inghilterra). Ecco perché in Francia si tira la cinghia senza troppo rumore, i cittadini sono semplicemente abituati a pagare le tasse e lo fanno per il bene del proprio paese, non perchè minacciati da chissà quale autorità coercitiva. Chissà che non sia proprio questa sua calma quasi artificiale – nel mezzo della terribile tempesta che avvolge l’intera Europa – a innervosire gli astiosi e perfidi inglesi.