COLUMBUS (OHIO) – Si festeggia già con birre locali e hotdog al bar EndZone di Columbus in Ohio, dove sono radunati tanti sostenitori del partito democratico. Barack Obama, primo presidente nero eletto nella storia americana, dopo il trionfo di quattro anni fa, potrebbe restare alla Casa Bianca grazie a un’altra storica vittoria in Ohio.
«Ho votato Obama perché non voglio tornare indietro agli anni ‘60 in termini di diritti delle donne» grida per sovrastare la musica hip-hop Sarah Roberts, casalinga cinquantenne di Columbus. «Se Romney voleva il voto delle donne dell’Ohio, beh, io l’ho dato a Obama». In questo bar grande come una palestra zeppo di cittadini comuni, bianchi, neri e ispanici, con il passare dei minuti la festa diviene più chiassosa. Il salvataggio dell’industria dell’auto voluto da Obama ha giocato un ruolo di primo piano in questa affermazione, così come sul risultato del Michigan, altro terreno di battaglia finito nella colonna degli Stati del partito democratico.
«Io ho votato in anticipo e ho votato per Obama» racconta Ahmad Khalil, tassista egiziano trapiantato in Ohio, entrato all’EndZone bar per controllare i risultati, «se va su Romney ci fa un’altra guerra in Medio Oriente, l’economia va a rotoli completamente e il taxi mi tocca venderlo. Con Obama le cose non saranno perfette, ma un miglioramento l’ho visto. Mio fratello lavora in fabbrica e il posto di lavoro ce l’ha ancora». Musi lunghi, invece, al The Buckeye Hall of Fame Grill, a un meeting della Conservative Cavalry, un gruppo di repubblicani libertari. «Sembra che la dittatura duri ancora quattro anni» dice laconico Walter Wilkinson, 52 anni, bibliotecario della zona. «Speravo di tornare a uno Stato federale, a una democrazia».
Per Columbus e per l’Ohio questa era una partita nella partita. Nella complessa mappa elettorale americana a contare sono solo una manciata di Stati contesi come l’Ohio. E una delle contee decisive in Ohio era proprio Franklin County di cui Columbus è la capitale. Qui Obama nel 2008 aveva ottenuto il 60% delle preferenze, e a questo giro si avvia a mantenere la maggioranza.
Se la vittoria del 2008 per Obama fu nel segno della voglia di cambiamento dopo l’era di George W. Bush e delle guerre in Afghanistan e Iraq, questa potrebbe senza dubbio essere contraddistinta dal ruolo giocato da Bill Clinton nella campagna elettorale. È stato autore di quello che per la gran parte degli osservatori americani è stato considerato il migliore discorso di entrambe le convention, riuscendo a spiegare meglio dello stesso Obama perché un ritorno al partito repubblicano sarebbe negativo per l’economia americana. Anche nelle ultime settimane si è speso moltissimo per Obama parlando a decine di comizi in Stati chiave come l’Ohio, tanto da restare quasi afono negli ultimi giorni.
Queste presidenziali erano cominciate nell’agosto del 2011, quando una pattuglia desolante di candidati repubblicani, in gran parte improbabili, aveva iniziato a scorrazzare per fiere suine e sagre di paese dell’Iowa, il primo Stato a esprimersi con i caucus, le primarie locali. C’era la pasionaria paladina del movimento populista del Tea Party Michele Bachmann, il governatore cowboy del Texas Rick Perry, il libertario Ron Paul, un gioviale ex amministratore delegato di una catena di pizzerie, Herman Cain, il supercattolico Rick Santorum, il vecchio visionario del partito Newt Gingrich, e c’era il super-ricco ex governatore del Massachusetts Mitt Romney, già reduce dal circo delle primarie 2008 quando si era imposto John McCain.
Primaria dopo primaria, tutta una serie di candidati si è persa per strada. Alcuni per manifesta inadeguatezza (Bachmann, Perry), altri per iperpurezza ideologica e mancanza d’appoggio della nomenklatura del partito (Paul), altri ancora per carenze organizzative (Santorum). A fatica, e dopo diverse imbarazzanti battute d’arresto, Romney ha conquistato la “nomination”, l’investitura del Grand Old Party per sfidare il presidente Obama.
A questo punto Romney ha dato il via a una studiata mutazione delle sue posizioni su tutta una gamma di temi, dall’immigrazione alla politica estera, dimenticando a tavolino molte sue idee espresse in passato, atteggiamento poi definito ironicamente da Obama “Romnesia”. Via i toni accesi utili a ingraziarsi i voti dei repubblicani duri e puri, e ritorno a un ventaglio di idee più centriste, le stesse che gli avevano consentito di diventare il governatore repubblicano in uno stato rocciosamente democratico come il Massachusetts. E poi lente d’ingrandimento sulle sue competenze di businessman in grado di mettere in sesto l’economia.
La “grande mutazione” doveva andare in scena in pompa magna alla convention di Tampa in Florida ed essere un’operazione di lifting mediatico così perfetta da tramutare un super-ricco dal background evidentemente privilegiato (il padre di Romney, George, era governatore del Michigan) in un uomo d’affari che si è in larga parte costruito la sua fortuna da solo, superando grosse difficoltà, perfino ristrettezze economiche nei primi anni del suo matrimonio, quando, con la moglie Ann – parole della signora – i due abitavano in “un seminterrato” e per risparmiare mangiavano solo “pasta col tonno”.
Eppure, la convention repubblicana non ha sortito gli effetti sperati. Non si è verificato alcun “convention bump”, nessun balzo in avanti nei sondaggi causato dall’esposizione mediatica. E dopo la convention del partito democratico a Charlotte in North Carolina, illuminata dai discorsi di Michelle Obama e, come detto, di Bill Clinton, Romney a fine settembre sembrava in ginocchio, distante anni luce dal presidente. A rilanciarlo nella corsa è stato proprio Obama con la performance fiacca del suo primo dibattito televisivo a Denver il 3 ottobre scorso. Romney da sempre apparso legnoso e poco comunicativo sembrava moderato, pragmatico e presidenziale. Obama sembrava stanco, quasi infastidito di dover dibattere con questo camaleontico candidato portato in palmo di mano dai super-ricchi del Paese.
Da questo momento in poi è cominciata una grande rimonta di Romney. E’ riuscito ad attrarre sempre più l’elettorato maschile incerto, e soprattutto quello delle donne. In poche settimane ha accorciato in modo sostanziale il gap con il presidente sul fronte dell’elettorato femminile, il gruppo demografico cruciale per vincere queste elezioni.
Il vento favorevole per Romney è cambiato solo negli ultimi dieci giorni da quando ha conquistato la scena mediatica il micidiale uragano Sandy e Obama è apparso più volte in televisione, come accade sempre a un presidente in questi casi, nella veste del comandante in capo che si fa carico della ricostruzione. A contribuire all’arresto della risalita di Romney ci sono state anche alcune sparate fuori luogo dello stesso ex governatore del Massachusetts riguardo alla crisi dell’automobile e dalla Chrysler-Fiat salvata da Obama e dai soldi pubblici.