In una recente audizione presso la Commissione Finanze, il presidente della Consob Giuseppe Vegas ha manifestato le sue perplessità sulla possibilità di fornire informazioni adeguate in merito alla trasparenza dei rischi per la tutela del risparmio. Pertanto, propone di vietare la vendita di prodotti complessi nell’errata convinzione di poter così vietare l’utilizzo di strumenti ad alto rischio. Peccato che esistano anche strumenti non complessi molto rischiosi: si pensi ad un titolo di puro sconto emesso dalla Grecia.
Vegas utilizza un’interpretazione troppo restrittiva della normativa europea quando afferma che «è vietato riportare nei prospetti informativi dei vari strumenti finanziari la rappresentazione probabilistica della rischiosità dei prodotti». In precedenza, invece, la Consob aveva adottato efficacemente tale rappresentazione con l’intento di fornire maggiore trasparenza.
L’approccio seguito oggi dal presidente della Consob è conservativo ed eccessivamente cauto. Ed è in contraddizione con l’intento della Commissione di riuscire a rilevare e misurare la propensione al rischio degli investitori italiani: un tema prevalentemente accademico e piuttosto astratto. Proprio due giorni fa ho ricevuto l’informazione su un ulteriore convegno organizzato dalla Consob su questo tema: «Conoscere l’investitore: la rilevazione della tolleranza al rischio finanziario. Gli strumenti e le questioni di policy», che vede impegnato in prima persona il commissario prof. Vittorio Conti.
Dunque, da un lato si snobba l’utilizzo di strumenti quantitativi per misurare il rischio, quotidianamente utilizzati sui desk degli operatori nazionali e internazionalim dall’altro ci si concentra sulla misura delle preferenze individuali di tutti gli investitori, tema astratto e largamente dibattuto a livello accademico. Il presidente Vegas ha affermato che i metodi probabilistici sono talvolta fallaci: ma fallaci rispetto a cosa? Il calcolo degli scenari probabilistici di fatto fornisce all’investitore un’informazione accurata sulla probabilità di realizzare una perdita o un guadagno: riesce a dire qual è la probabilità che l’investimento vada male, e l’investitore può sapere, per esempio, che in dieci casi su cento può realizzare una perdita invece che avere la generica informazione sul fatto che l’investimento può fornire un guadagno o una perdita senza alcune specificazione di quali siano le effettive probabilità associate ad esse.
Gli sforzi che la Consob sta dedicando allo studio del comportamento degli individui e della loro funzione di utilità fanno pensare alla necessità di avere una sezione di esperti psicologi per il perseguimento dei propri compiti istituzionali. Eppure solo quattro anni fa la Consob rafforzava le proprie competenze tecniche in materia quantitativa e finanziaria, indicendo un concorso pubblico per Esperti in Metodi quantitativi, cui ho partecipato quale membro della commissione esaminatrice.
Senza voler mettere in discussione la validità degli studi sulla finanza comportamentale, quello che preoccupa è che le scelte della Consob sembrano andare nella direzione di favorire l’asimmetria informativa tra la clientela retail ed i collocatori dei prodotti. Chi vende pretende di conoscere la tolleranza al rischio dei singoli clienti mentre chi compra non può sapere quanto è rischioso ciò che acquista: e se poi si spaventa e non acquista? Quell’investimento rischiosissimo potrebbe anche andare bene! Così facendo, il risparmiatore deve confidare solo nella buona fede (!) del venditore.
In un mercato come quello italiano dove il collocamento è concentrato per circa il 90% in mano ad intermediari in conflitto di interesse, soprattutto di origine bancaria, il timore è che si arrivi ad una situazione in cui, seguendo i “disinteressati” consigli dei venditori, i clienti continuino a investire in prodotti inefficienti ma formalmente adeguati alla presunta comprensione delle loro preferenze, comprensione realizzata con questionari preparati dalle banche e convalidati dall’Autorità di vigilanza. È come dire: «Caro investitore, non puoi capire il rischio dei prodotti finanziari e, tantomeno, la tua propensione al rischio ma grazie alla nostra indagine possiamo scegliere noi il prodotto di cui hai veramente bisogno!»
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Mi sembra che si voglia archiviare i numerosi episodi di misselling avvenuti sul mercato italiano dando la colpa all’inadeguatezza dei risparmiatori italiani che non sono riusciti a spiegare il loro profilo di rischio ai rispettivi intermediari e assolvendo così la scarsa qualità e l’opacità dei prodotti collocati.
L’obiettivo dell’Autorità preposta a tutelare i rispamiatori dovrebbe essere quello di misurare in modo oggettivo il rischio finanziario del prodotto d’investimento proposto e garantire che tale informazione venga fornita ai risparmatori in modo univoco senza la “traduzione” dell’intermediario o emittente. In questo senso, sarebbe opportuno un ripensamento delle strategie espresse ultimamente dai vertici dell’Istituto, per puntare su quell’approccio di trasparenza che ha trovato un ampio consenso nel mondo accademico, tra gli addetti ai lavori e presso gli stessi investitori e che si è rivelato in molti casi concreti un utile presidio di tutela del risparmio.
Mi auguro che, in questo momento di crisi profonda, anziché investire risorse economiche e professionali inseguendo l’utopia di identificare la funzione di utilità di tutti gli investitori italiani, la Consob torni a promuovere a livello nazionale e comunitario il dibattito sulla misurazione e rappresentazione oggettiva dei rischi. Siamo ancora in tempo.
*Professore ordinario di Metodi matematici per le applicazioni economiche e finanziarie presso l’Università La Sapienza – Roma (v. bio)