Ancora ieri la Camfin, la società che possiede il 26% di Pirelli, ha fatto faville in Borsa. Il titolo ha guadagnato l’8% sulla suggestione di un’Opa da parte dei fondi Investindustrial e Clessidra. Con questi ultimi Marco Tronchetti Provera, fin qui dominus della galassia Pirelli, ha intavolato trattative da diverse settimane nel tentativo di sostituire l’attuale alleato, la famiglia Malacalza, che tre anni fa gli aveva fornito i mezzi per tenere la presa sul gruppo che produce pneumatici. Da agosto con i Malacalza si è aperto un dissidio sempre più incolmabile sulle modalità per rifinanziare l’indebitata catena di controllo: ancora debito o capitali di rischio veri e propri?
I “piani di riassetto” circolati fin qui sono stati cestinati, anche se hanno offerto qualche spunto di trading a Piazza Affari. Ma oltre ad agitare la Borsa, il lavorio su questioni altre dal business industriale sta causando anche qualche distrazione al timone della Pirelli, come si può dedurre dallo stillicidio di alti manager in uscita, oltre che dalla revisione al ribasso degli obiettivi aziendali.
Solo ieri, comunque, la Consob di Giuseppe Vegas, si è decisa a chiedere spiegazioni. E la spiegazione fornita dalla Mtp, la società della famiglia Tronchetti, è che per ora non c’è nulla, nemmeno un’intesa preliminare: solo un generico “intendimento” a continuare i colloqui, in esclusiva con i due fondi, fino al 15 dicembre. Tronchetti vuole «un’operazione che permetta con soddisfazione di tutti di guardare al futuro del gruppo contribuendo ad eliminare le tensioni presenti». Il tutto «nel rispetto degli accordi, anche parasociali» con i Malalcalza, che scadono il 20 luglio 2013. Nel frattempo, Mtp ha disdettato il patto in Gpi ma non quello su Camfin.
A questo punto, però, si ritorna alla casella di partenza. «Il problema di fondo – ha detto ieri Vittorio Malacalza – è uno solo… se la filosofia è quella del fare debito per ripagare il debito oppure fare un aumento di capitale. Io ho sempre fatto l’aumento di capitale e ho sempre preso i soldi dalle mie tasche». Forte dell’appoggio delle banche, Tronchetti è riuscito ad imporre, contro i Malacalza, il ricorso a nuovo debito, tramite obbligazioni convertibili in azioni Pirelli. Ma sulla Gpi, la società che controlla Camfin, si è impegnato con le banche a rimborsare il prestito da 41 milioni in scadenza il prossimo 30 novembre. Per saldare i debiti, dunque, Gpi ha deliberato un aumento di capitale fino a 45 milioni. Che per Tronchetti, però, non sembra implicare quel «prendere i soldi dalle proprie tasche» di cui parlava ieri Malacalza. Lo schema poi abortito prevedeva che i fondi Investindustrial di Andrea Bonomi e Clessidra investissero 30-40 milioni in una nuova scatola societaria in cui Tronchetti avrebbe conferito la sua quota di controllo (57,52%) della Gpi e alla quale avrebbe attinto per pagare la sua quota (25 milioni) dell’aumento. Tronchetti si impegnava fra l’altro a riacquistare dopo due anni la quota dei due fondi, garantendogli un ritorno del 10% annuo. Se non debito bancario, insomma, poco ci manca: in ogni caso, passività a medio termine, che non risolvono il problema.
Nello stesso tempo, l’esistenza delle trattative con i fondi solleva una domanda imbarazzante, che tutti sul mercato e nelle banche si stanno ponendo: ma Tronchetti Provera è in grado o no di fare la sua parte (25 milioni) nell’aumento di capitale di Gpi? E se non è in grado, è perché non vuole attingere al suo patrimonio personale o perché non dispone di risorse da investire? Quale che sia la risposta, tutti i consulenti, finanzieri e banchieri coinvolti nella vicenda non nascondono un certo stupore. Nel primo caso, perché fa a pugni con la pervicace determinazione del presidente della Pirelli a non mollare il controllo di un gruppo industriale che gli garantisce status, benefit (fra cui la comodità di viaggiare su un jet aziendale Falcon 2000 LX) e soprattutto compensi milionari. Nel secondo caso, perché lo scorso aprile, Tronchetti ha incassato la bellezza di 22 milioni di euro, fra stipendio e bonus triennale. Incassi che si sommano ai compensi percepiti negli ultimi anni, fra 4 e 6 milioni l’anno.
Intanto, mentre Tronchetti è impegnato in questioni lontane dal business industriale di Pirelli, il gruppo di pneumatici già risente della mancanza di una mano salda al timone. A maggio c’è stata l’uscita del direttore generale Francesco Gori, il manager che ha guidato la riscossa industriale dopo la disastrosa avventura in Telecom. Da allora è stato uno stillicidio di dimissioni al vertice operativo: Mauro Pessi, capo di Pirelli South America, è uscito a giugno, a settembre è stata la volta di Guglielmo Fiocchi (Pirelli Car), quindi è toccato a Ugo Forner (divisione truck), Paolo Savini (logistica) e Alessandro D’Este (senior vicepresident Europa). E per due trimestri consecutivi Pirelli ha dovuto rivedere al ribasso i suoi obiettivi per fine anno.
Twitter: @lorenzodilena
La catena di controllo del gruppo Pirelli