Nessuno dei due appelli ospitati da Linkiesta per Renzi e per Bersani menziona l’Europa, nonostante si parli di “baratro” e della necessità, per risolvere i nostri problemi, del «concerto di disparati poteri in Europa e nel mondo».
Siccome penso che il destino del nostro paese sarà più o meno desiderabile, nei prossimi vent’anni, a seconda di come evolverà l’Europa, la cosa che più m’interessa dei candidati alle primarie sono le loro proposte sull’integrazione europea. Perché i due programmi non sono molto dissimili, e perché comunque bisognerà rivedere tutto se l’euro non tenesse e l’Unione Europea si dissolvesse.
I temi principali sono due: come arginare la crisi nel breve termine, e a quale modello di Europa mirare nel lungo termine. Il tema più importante è il secondo, perché questa è una crisi di fiducia (nella solvibilità degli stati e delle loro banche, e nella tenuta della moneta comune) è e sarà difficile risolverla stabilmente senza presentare a mercati ed elettori un impegno credibile a rettificare l’asimmetria che rende instabile l’architettura dell’Unione Europea. Quindi discutere il modello (federale o intergovernativo), le competenze (unione bancaria, fiscale, economica, politica) e la legittimazione democratica (diretta o indiretta) delle nuove istituzioni è necessario.
E diventerà presto urgente, perché senza una prospettiva condivisa sul progetto di lungo termine il negoziato sull’austerità di bilancio e la solidarietà del debito mi pare sia divenuto simile a un gioco a somma zero, il che ha lasciato la gestione della crisi al bilancio e alla credibilità della banca centrale e rischia ora di bloccare ogni reale progresso (incluso, forse, sull’unione bancaria).
Guarderò anche al rilievo che nei loro programmi i candidati riservano all’integrazione europea: non è un punto secondario, perché quel tema investe direttamente la questione della sovranità, i rapporti con gli altri stati e gli interessi dell’élite politica nazionale: per poter agire efficacemente e credibilmente, superando presumibili resistenze interne, il candidato deve chiedere e ricevere un mandato esplicito dagli elettori, incluso alle primarie.
Bersani è il favorito e inizierò con lui.
Strategia. La linea proposta richiama la causa principale della crisi – unione monetaria senza unione politica – e mira esplicitamente a un modello federale: bisogna, scrive Bersani, «portare a compimento le promesse tradite della moneta unica e integrare la più grande area economica del pianeta in un modello di civiltà» e creare «nuove istituzioni comuni, dotate di una legittimazione popolare e diretta», a partire da «una nuova architettura istituzionale dell’eurozona» concepita «[nel]l’orizzonte ideale degli Stati Uniti d’Europa».
Tattica. Su austerità e sviluppo bisogna «correggere la rotta, accelerando l’integrazione politica, economica e fiscale» (Bersani evidentemente propone di legare la discussione sul breve termine al negoziato sul lungo periodo); bisogna «rafforza[re] la piattaforma dei progressisti europei» e, in Italia, raccogliere un sostegno ampio sulla posizione nazionale: «la ragione più profonda che ci spinge a cercare un terreno di collaborazione con le forze del centro liberale», spiega Bersani, è la volontà di promuovere l’integrazione europea.
Rilievo. Il capitolo d’apertura del programma, dedicato alla “visione”, parla spesso di Europa, anche se in modo generico: «[i]l nostro posto è in Europa [etc.] un’Europa da ripensare [etc.] assieme a quelle forze progressiste che cercano in un tempo difficile di non tradire il sogno di un’Europa unita nell’impronta della sua civiltà». La centralità della questione è esplicitamente affermata nel capitolo dedicato all’Europa, il quinto di dieci: «[n]on c’è futuro per l’Italia se non dentro la ripresa e il rilancio del progetto europeo. La prossima maggioranza dovrà avere ben chiara questa bussola: nulla senza l’Europa».
Passo a Renzi.
Strategia. La linea proposta non richiama un modello specifico: «[l]a crisi dell’euro ha mostrato che la costruzione europea è ancora imperfetta e deve essere completata, sulla linea di quello che avevano immaginato i padri fondatori. Per superare la crisi ci vuole più Europa, non meno Europa». Le numerose riforme suggerite – vedi sotto – non sono quindi riunite in un programma d’insieme: esse, tuttavia, segnerebbero progressi molto significativi e sono tutte compatibili, in prospettiva, con una soluzione federale.
Tattica. Varie riforme sono indicate: un «sistema integrato di risoluzione delle crisi bancarie, a livello di unione monetaria»; «un sistema di assicurazione reciproca [ritenuto necessario perché il fondo salva-stati (EFSF/ESM) è esiguo], che in ultima istanza può sfociare su titoli di debito comuni (Eurobond), la cui emissione sia soggetta a vincoli comunitari e venga svolta da un’agenzia del debito europea»; l’elezione diretta del presidente della Commissione (e dell’Unione); il rafforzamento dei poteri del Parlamento Europeo; una “vera” politica estera e di difesa comune; e diverse misure per stimolare la nascita di un elettorato europeo: programmi Erasmus, programmi di mobilità, servizio civile europeo, e anche bandi europei più semplici e leggibili.
Rilievo. Il capitolo introduttivo del programma di Renzi non parla di integrazione europea. Ad essa è dedicato il secondo capitolo. Il terzo capitolo, dedicato al rilancio del paese, si apre con queste parole: «[a]vere una visione per l’Europa non dev’essere un pretesto per non parlare dell’Italia». L’Europa infatti non compare nei nove capitoli successivi, ad eccezione di quello dedicato alla politica estera (tema che Bersani purtroppo non copre): in coerenza con la proposta di rafforzare la politica estera comune, Renzi vuole che l’Europa agisca con una sola voce nell’ONU, IMF e Banca Mondiale, e nei confronti del Mediterraneo e dei Balcani. Due parole sugli altri tre candidati.
Vendola. Il capitolo sull’Europa è ampio e articolato. Si richiama ad Altiero Spinelli e al progetto di Stati Uniti d’Europa: «un continente fatto di stati che superando i confini della politica nazionale si federano in nome di un ideale alto di pace, giustizia sociale ed ambientale». Pone l’accento sulla legittimazione democratica e critica il metodo intergovernativo.
Puppato. Vuole «dare un deciso impulso al processo di unificazione e una parziale rinuncia della sovranità nazionale in nome di un potere più alto» e creare «organismi comunitari con poteri effettivi almeno in materia di Politica Estera, Difesa, Tutela dell’Ambiente, Finanza e Lavoro». Non parla di Europa nell’appello al voto.
Tabacci. Si richiama ad Altiero Spinelli e alla tradizione europeista italiana, e auspica una soluzione federale.
Tutti i candidati sono quindi convinti della necessità di approfondire sensibilmente l’integrazione europea. Ma cosa li distingue tra loro, oltre che dall’uomo della strada (ho appena letto che anche tra i sostenitori di Grillo solo il 20% è euroscettico)?
Bersani espone un programma che mira a una soluzione definita (federale) e spiega come perseguirla. In particolare, è molto convincente la proposta di unire la discussione sulle misure di breve termine con quelle di lungo termine, perché mi pare che il gioco a somma zero tra austerità di bilancio e solidarietà del debito possa essere sbloccato solo nel quadro del negoziato sulla nuova architettura dell’Unione, incrociando variamente le posizioni di debitori e creditori, sovranisti e federalisti, conservatori e progressisti.
Renzi, invece, non indica né l’obbiettivo finale del processo d’integrazione (è l’unico dei cinque candidati a non farlo) né il modo di raggiungerlo, ma offre una lista di misure – tutte condivisibili e utili, se non addirittura necessarie – dalle quali non è facile ricostruire una strategia chiara e realistica. In particolare, Renzi insiste sugli Eurobond – un punto importante nell’economia della sua proposta – in una situazione nella quale addirittura la Francia di Hollande ha smesso di farlo, di fronte alla fermissima opposizione tedesca, e siccome non spiega come l’impasse può essere superato.
Nelle sue linee essenziali a proposta di Vendola è simile a quella di Bersani, e mi pare anzi migliore sotto due aspetti importanti: l’enfasi sulla questione della legittimazione democratica e la critica al modello intergovernativo, in sé e come metodo erigere le nuove istituzioni. Il programma di Bersani è più persuasivo, tuttavia, perché combina una strategia ambiziosa ad un approccio graduale e realistico, che tiene conto dell’evoluzione recente e presumibile del negoziato europeo.
Infine, a differenza di Renzi e Vendola, Bersani colloca esplicitamente l’Europa al centro della propria strategia complessiva. In particolare, nel programma di Renzi l’Europa rimane in secondo piano, tranne che nel campo della politica estera: non ne emerge la convinzione che pressoché ogni questione domestica dipende dalla questione dell’Europa.
Conta qualcosa tutto ciò? Nessuno dei due appelli da alcun peso ai programmi dei candidati, che ho appena esaminato. Forse è vero che sarebbe imprudente trarre indicazioni positive dai programmi, ma è certo possibile trarne di negative se i programmi contengono proposte sbagliate o trascurano temi importanti.
Sotto questo profilo, Bersani mi pare più convincente. Perché a differenza di Vendola, e, soprattutto, di Renzi, il suo programma riflette sia la convinzione che l’Europa è la priorità del paese, sia una seria riflessione su come coniugare, dal giorno dopo le elezioni, la costruzione della nuova Europa con gli effetti della recessione, le aspettative dell’elettorato, la volatilità dei mercati e gli interessi degli altri stati.
Certo, Renzi o Vendola troverebbero molti ed eccellenti consiglieri e poi ministri per aiutarli. Ma qui non si tratta di politica energetica o dei trasporti, sulle quali altri possono compensare un difetto d’interesse, d’impulso o di convinzione del primo ministro. E poi quel difficile lavoro deve iniziare ben prima delle elezioni: per esporre un’idea di Europa agli elettori, e prepararli ai sacrifici che saranno necessari, e per intessere rapporti con gli altri governi e partiti progressisti.