“Non abbiate paura a tassare noi ricchi, l’economia non si ferma per questo”

“Non abbiate paura a tassare noi ricchi, l’economia non si ferma per questo”

Supponiamo che un investitore che ammirate e di cui vi fidate venga da voi con un’idea di investimento. «Questa è una cannonata», vi dice con entusiasmo. «Io ci investo su e, secondo me, dovresti investirci anche tu».

Quale potrebbe essere la vostra risposta? «Beh, dipende tutto da quante tasse dovrò pagare sulle plusvalenze che secondo te realizzerei. Se sono troppo alte, preferisco lasciare i soldi sul conto risparmio che mi frutta un bel 0,25 per cento». Una risposta del genere esiste solo nell’immaginazione di personaggi come il fanatico antitasse Grover Norquist.

Tra il 1951 e il 1954, quando le plusvalenze erano tassate al 25 per cento e l’aliquota marginale sui dividenti in casi estremi arrivava fino al 91, io vendevo titoli e non avevo problemi a farlo. Negli anni dal 1956 al 1969 l’aliquota più alta era scesa leggermente, ma era ancora assestata su u ragguardevole 70 per cento e l’aliquota sulle plusvalnze era salita leggermente, al 27,5 per cento. In quell’epoca gestivo fondi per investitori: non ce n’è mai stato uno che abbia rifiutato un’opportunità di investimeno che gli proponevo adducendo come motivazione le tasse. Non solo: quando c’erano quelle aliquote così alte, l’occupazione e il prodotto interno lordo (metro di misura della produzione economica di una nazione) crescevano a passo sostenuto: sia la classe media che i ricchi miglioravano la loro condizione.

Perciò lasciate perdere tutte quelle storie su ricchi e ultraricchi pronti a scendere in sciopero e ficcare le loro montagne di soldi sotto il materasso se – Dio ce ne scampi – dovessero aumentare le tasse sulle plusvalenze e le normali imposte sul reddito. Gli ultraricchi (di cui faccio parte) continueranno sempre a sfruttare le buone opportunità di investimento.

E ne abbiamo di soldi da investire. Le 400 persone più ricche d’America, secondo la rivista Forbes, quest’anno hanno toccato un record: 1.700 miliardi di dollari, cinque volte di più che nel 1992, quando il loro patrimonio ammontava a 300 miliardi. Negli ultimi anni la mia banda ha fatto mangiare la polvere ai ceti medi.

I tagli delle tasse ci hanno dato una bella spinta: nel 1992, i 400 individui a più alto reddito in America (che non coincidono con i 400 superricchi di Forbes) pagavano in media tasse del 26,4 per centro sul reddito lordo rettificato: nel 2009, l’anno più recente su cui esistono dati, quest’aliquota era scesa al 19,9 per cento. È bello avere amici in alto loco.

Il reddito medio di questo gruppo nel 2009 è stato di 202 milioni di dollari, che equivale a un «salario» di 97.000 dollari all’ora calcolando una settimana di 40 ore lavorative. (Do per scontato che le pause pranzo siano retribuite.) Eppure più di un quarto di questi ultraricchi ha paato meno del 15 per cento di tasse, sommando le imposte federali sul reddito e i contributi. La metà ha pagato meno del 20 per cento e – reggetevi forte – ce n’è addirittura qualcuno che non ha pagto praticamente nulla.

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*tratto da La Repubblica, 27-11-2012, pag.25