Sicuri di non aver mai letto una poesia scritta da un robot?

Sicuri di non aver mai letto una poesia scritta da un robot?

Nel 1950 Cristopher Strachey costruì una macchina, chiamata LoveLetters, in grado di scrivere poesie d’amore: «Tu sei il mio rapimento d’amore. Il mio cuore adora, senza respiro, il tuo desiderio». Certo non parliamo di Shakespeare o Cyrano, ma potrebbero ingannare chiunque. Come ha dimostrato la Bbc che ha chiesto al poeta Luke Wright di scrivere una poesia, senza firmarla, mettendola a confronto con un’altra scritta da un poeta meccanico. Le differenze sono veramente minime, e capire quale delle due nasce dalla creatività di una mente umana, e quale da un software che selezione le parole in base a degli algoritmi, è veramente difficile.

E addirittura c’è chi ha preferito i sonetti scritti da un computer a quelli di Shakespeare (i gusti sono gusti), durante un “test in cieco”, svolto da Philip Parker, professore della Insead Business School. Lo stesso Parker ha ideato un software che ha già prodotto più di 200mila libri, che vertono su argomenti di cucina, turismo e cruciverba. Certo, si limitano a mettere insieme delle informazioni già disponibili, o fare stime future in base ad algoritmi, niente di nuovo od originale. Almeno per il momento.

Ma esistono anche software in grado di aiutare uno scrittore nella stesura di un libro. Alcuni forniscono modelli per crearne la struttura, in modo da renderla semplice e favorire una lettura più scorrevole. Altri ne verificano la corretta composizione o aiutano a terminare il romanzo, come New Novelist. Ma «nessuno scriverà il libro per te», assicurano gli ideatori del software. Eppure di recente un editore russo, Alexander Prokopovich ha prodotto un intero libro, Amore vero, tramite un software, in sole 72 ore, riscuotendo anche un certo successo. Per non parlare dei software in grado di scrivere articoli e comunicati stampa.

«Alan Turing, che già negli anni ’50 si chiedeva se le macchine pensassero, sarebbe stato felice di vedere che difficilmente si riesce a distinguere tra un prodotto di natura umana e meccanica» racconta a Linkiesta Giuseppe Vizzari, ricercatore presso il dipartimento di informatica sistemistica e comunicazione dell’università di Milano Bicocca, «ma generare un testo di valore artistico, non è poi così scontato, e a mio parere siamo ancora ben lontani dal riuscirci».

«Le macchine più che sostituirsi all’uomo, saranno un grande aiuto, e in futuro lavoreranno al nostro fianco. Anzi lo stanno già facendo. Basti pensare per esempio, al robottino che pulisce i pavimenti. Dentro ci sono risultati di anni di ricerca sull’intelligenza artificiale e robotica, alcuni dei quali molto sofisticati, anche se può non sembrare. Sono, infatti, in grado di realizzare una mappa dell’ambiente casalingo e sono consapevoli del proprio livello di energia, andando a ricaricarsi quando ne hanno bisogno».

Watson, per dirne un altro, il robottino che la Cleveland Clinic e la Ibm hanno iscritto alla facoltà di medicina, per migliorare la funzionalità della tecnologia Deep Question Answering di Watson in campo medico. Il robot affiancherà medici, infermieri e studenti di medicina per fornire rapidamente risposte ai quesiti medici che si presentano di volta in volta e aiutarli a individuare le conoscenze utili, in mezzo alle montagne di informazioni disponibili.

Anche in questo caso, come per gli altri software in grado di scrivere testi, si parla di analisi del significato, e contesto del linguaggio umano, e sua rielaborazione. «Niente di nuovo» prosegue Vizzari, «dal punto di vista tecnico la scrittura di un testo sintatticamente corretto e che abbia una valenza semantica, esiste già da un po’ di tempo. Sono gli stessi modelli e strumenti impiegati dai risponditori automatici o da Siri dell’iPhone, che non sintetizzano o creano linguaggio, però lo analizzano».

«Per capire la struttura della frase, infatti, che sia scritta o parlata, e riutilizzarla, il software per prima cosa deve capire come viene generata» continua il ricercatore della Bicocca. «Sono tecniche di analisi del linguaggio naturale, che vanno poi integrate con altre, in grado di spiegare la semantica dell’oggetto del discorso. Dello stesso software simil-Siri, se se ne parlava già alla fine degli anni ‘70, nei laboratori della Tnt in America. Era stato progettato per migliorare l’help desk clienti, che chiamavano e parlavano al telefono con il risponditore automatico, in grado di capire le domande dell’utente e di indirizzarlo a una soluzione del problema. Solo che al tempo non c’erano strumenti adeguati e all’altezza di supportare il software. Ora invece possiamo tenerlo tranquillamente in tasca».

Alan Turing è stato fondamentale in questo contesto, e non a caso viene considerato il padre dell’intelligenza artificiale. Il suo test, in grado di stabilire se la macchina pensa, è stato più volte cambiato nel corso degli anni e alcuni ritengono che non sia adeguato perché superato da vecchi sistemi di intelligenza artificiale. «Come Eliza, un programma per computer piuttosto primitivo che utilizzava un motore di comprensione del linguaggio naturale e fingeva di essere uno psicoterapeuta, o meglio una parodia di esso, in grado di ascoltare e dare consigli» spiega Vizzari. «In realtà rispondeva grazie a dei trucchi, chiedendo “perché” per esempio, o ripetendo la domanda (All’affermazione: “Mi fa male la testa” il programma può ribattere con: “Perché dici che ti fa male la testa?”; oppure: “Mia madre mi odia”, “Chi altro nella tua famiglia ti odia?”). Senza comprenderne veramente il senso, ma dando l’idea di ascoltare e capire».

Gli esempi di macchine che possono semplificare la vita dell’uomo, sul lavoro come nella vita quotidiana, sono davvero tante. Dai robot per aiutare gli astronauti, ai sistemi automatizzati per l’analisi delle transizioni bancarie, per capire quando possono essere coinvolte in riciclaggio. Ma anche apparati robotici per automatizzare parti degli esperimenti biomedici in laboratorio e robot che aiutano persone disabili. «In Giappone sono già in sperimentazione e anche limitatamente anche in Europa» ci racconta Vizzari. «Non parliamo di robot intelligenti, che riflettono, però s’interfacciano con il sistema nervoso umano e aiutano persone con ridotte capacità motorie. Una ragazza tetraplegica, per esempio, ha imparato a guidare questo esoscheletro per camminare. Il problema sono i costi, che si aggirano intorno a diverse decine di migliaia di euro, insostenibili per qualsiasi Sistema Sanitario Nazionale, non solo in Italia».

Il livello raggiunto nel campo della robotica è molto alto, e il settore artistico non è escluso, anche se poi cosa possa definirsi arte e originale è un’altra questione. Oggi, infatti, i software non sono solo in grado di produrre libri e testi, ma anche disegni, come i frattali, ottenuti da un’applicazione matematica, e musica. O sono capaci di suonarla la musica, come Teotronico, il robot che suona Mozart. E neanche male per essere un robot.

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