A leggere i tanti resoconti della new economy manifatturiera made in Usa il lettore italiano si potrebbe fare l’idea che quello dei makers è semplicemente uno dei tanti “trend” che ogni tanto nascono dall’altra parte dell’Atlantico per arrivare in forme più o meno sensate in Europa. Leggere l’articolo di Thomas Friedman sul New York Times di qualche giorno fa aiuta a dare forma a un’immagine un po’ più compiuta del grande progetto su cui si è impegnato un pezzo importante dell’attuale classe dirigente americana: riportare la manifattura (e il lavoro) in America.
Friedman ci parla di un’America poco nota. Parla di Traci Tapani e della sua Wyoming Machine. Wyoming Machine (55 dipendenti in un settore maturo come la meccanica) è un caso esemplare della nuova manifattura americana: quando l’azienda vince nel 2009 l’appalto per la saldatura degli Humvee blindati scopre che non c’è più manodopera sul mercato. Non che manchino operai: mancano i saldatori che possono svolgere il lavoro secondo gli standard imposti dall’esercito americano.
Meno saldature, più qualità del lavoro. I nuovi saldatori di cui la signora Tapani ha bisogno sono persone in grado di conoscere le tecnologie, i metalli, i progetti e di dominare in modo autonomo l’intero processo. Non sono più operai, sono artigiani in versione Stem (ovvero con solide basi in scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). La parola artigiani (craftmen) campeggia in primo piano nella home page del sito della Wyoming Machine a sottolineare una nuova cultura del lavoro manifatturiero di qualità. «Questi saldatori high tech – ci segnala a più riprese Friedman – latitano e per questo la signora Tapani se li è dovuti formare, uno a uno, attraverso un percorso gestito all’interno della sua impresa».
Lo stupore con cui Friedman rilancia la vicenda della Wyoming Machine non sorprende affatto chi conosce da vicino la nuova manifattura italiana. Gran parte delle aziende della meccanica, dell’arredo e persino del nuovo tessile italiano non fanno altro che ripetere la stessa storia. Confermano che oggi una domanda di lavoro qualificato c’è, ma che l’offerta formativa non riesce a stare al passo con i tempi. Per le piccole imprese (come anche per la Wyoming Machine) il problema non è da poco.
Per questo merita attenzione la proposta di Friedman riguardo a una nuova idea di formazione. Per sostenere questa nuova generazione di artigiani high tech che lavorano nella manifattura di qualità c’è bisogno di una nuova relazione con le università, fatta di scambi continui da una parte all’altra. C’è bisogno di studenti che lavorano nelle aziende più evolute (in modo da accedere alle tecnologie più sofisticate) e di personale delle imprese che ritorna spesso in università per consolidare competenze in matematica, scienze, metallurgia, oggi sono sempre più necessarie. (Lascio al lettore valutare quanto la nostra riforma scolastica e universitaria vada o meno in questa direzione).
Ad alcuni potrebbe sembrare uno scenario piuttosto futuribile. E invece non è così. Gli imprenditori e i ricercatori italiani che oggi vanno negli Stati Uniti rimangono profondamente impressionati dalla qualità delle politiche per il rilancio della manifattura di qualità. Un imprenditore del tessile biellese, di ritorno da un viaggio in America, ha ammesso sorridendo che oggi i suoi investimenti in Messico forse non sono stati poi così azzeccati vista la competitività raggiunta in pochi anni da aree di grande tradizione manifatturiera come ad esempio il North Carolina.
Makers e artigiani high tech nella saldatura tessile di qualità, sono tutte manifestazioni di un gigantesco sforzo per far ritornare il lavoro in America. Dopo anni di equivoci su un’economia della conoscenza appiattita sull’economia dell’immateriale, una parte importante della ruling class americana rilancia su una manifattura di qualità capace di garantire nuova prosperità a una classe media in affanno. Non è tornare indietro. È andare avanti. Quanto all’economia della conoscenza di cui sopra teniamo a mente il nuovo motto di Tony Wagner (Harvard): «Il mondo non è interessato a quello che sai. Il mondo si interessa solo di quello che sai fare con quello che sai».
Leggi l’articolo di Thomas Friedman sul New York Times.