Adesso, le persone molto benestanti che desideravano (desiderano) essere di sinistra sono sinceramente nei guai. Hanno cercato in Matteo Renzi un nobile ombrello protettivo e liberale, ma l’uomo, dopo strenua battaglia, è caduto sul campo. È caduto per mano di ex comunisti, con il che i benestanti di cui sopra sono passati da una condizione di speranza laica a un’altra di autentica e giustificata inquietudine, immaginando la calata a valle dei cosacchi con relativi prelievi coatti dalle loro tasche.
Il destino del benestante in questo momento è anche un po’ beffardo e, se fosse possibile metterlo in parallelo con quello della povera gente senza rischiare d’esser preso a male parole, si potrebbe dire che è persino più complesso e difficile. Perché la gente a reddito (molto) fisso ha avuto la sua felice definizione politica nella vittoria di Pierluigi Bersani e adesso spera che il futuro le sorrida un cicinin di più. Mentre il benestante che testardamente vuole guardare a sinistra non sa che pesci pigliare. Anche con tutta la misericordia del caso, mettersi al fianco di Vendola è operazione troppo spericolata e giusto uno come De Benedetti, che si gingilla da sempre con Repubblica, può vivere il momento in relativa souplesse. Meno tranquilli ci appaiono Rodolfo e gli altri figli. La domanda, a questo, punto è inevitabile, persino scontata: ma che ci fa un benestante ancora a sinistra e soprattutto perché deve starci?
La domanda che si è posto il nostro Barigazzi: «Come si può essere di sinistra e difendere la rendita?» è il rintocco delle campane di LK opposte agli squilli di trombe mucchettiane sparate sul Corriere «Ma perché i liberisti devono votare a sinistra?», con cui il raccontatore geronziano credeva di mettere spalle al muro i benestanti. C’è una terza via o uno dei due ha decisamente ragione?
Ci può forse aiutare l’esame approfondito del voto delle primarie, in cui si racconta che più della metà degli elettori di Renzi (esattamente il 51%) probabilmente non confermerà il suo voto a sinistra (la sinistra Bersanian-vendoliana) alle prossime nazionali. Qui parliamo solo del mezzo milione di elettori che si è presentato ai gazebo, ma naturalmente il campo politico idealmente rappresentato dal sindaco di Firenze è decisamente più largo. È quindi un campo che può decidere della vittoria o della sconfitta delle coalizioni: questo esercito liberal-liberista dove metterà la sua crocetta (se poi la metterà)?
Non è un caso che un sacco di gente interessata abbia goduto lietamente dell’insuccesso renziano, dovendogli buoni motivi di futura sopravvivenza: che ne sarebbe stato di Montezemolo e dei suoi cari, che fine avrebbe fatto la pattuglia dei professori-gagà alla Giannino, quale definizione politica avrebbe mai immaginato il ministro Passera, per finire al destino segnato della balena Berlusconi che con l’avvento bersaniano può riprendere il vecchio adagio comunista. Tutti soggetti che ora andranno per mare alla ricerca di qualche punticino percentuale.
Ma tornando ai nostri benestanti. In questa attuale condizione politica avrebbe conseguentemente ragione Mucchetti: per quale arcano motivo un sincero liberista dovrebbe votare a sinistra se l’unica sinistra in campo ha decisamente spostato il suo asse verso l’estrema?
Un motivo in realtà ci sarebbe: l’etica. O quell’idea (interessata?) di etica che appartiene a certi liberisti di questo tempo. Non si spiegherebbe altrimenti il perché un numero consistente di persone molto abbienti non consideri praticabile l’opzione centro-destra, che più le apparterrebbe per natura e per interessi. Non si spiegherebbe come mai si preferisca soggiornare in una casa che non è la propria piuttosto che mettersi a costruire le fondamenta della nuova abitazione liberale per tutti i liberali. Il motivo vero è che nessuno vuole stare nel campo dove Berlusconi ha seminato la sua non-rivoluzione liberale con annessi e connessi vergognosi.
Ecco, la vergogna. Questo è il vero motivo per cui ci si vuole riparare sotto l’ombrello di una sinistra alla quale, almeno, si attribuisce un decoro complessivo più evidente, più esteso, più riconosciuto. Anche a costo di perderci qualcosa. Ci si vergogna a stare «di là». E qui allora ritorna la domanda universale di Barigazzi: «Come si fa a essere di sinistra e difendere le rendite?»
Per stare di qua, a sinistra, e difendere la rendita, è probabilmente necessario restituire, a chi le rendite le vede solo col binocolo, l’impressione che, pur nelle evidenti e riconosciute e accettate diversità economiche, i più fortunati possano dimostrare in modo inequivocabile che il loro procedere sociale è ispirato dal tema delle pari opportunità. Nella questione delle tasse, ad esempio, terreno delicatissimo in cui l’accesso a strumenti fiscalmente più vantaggiosi ancorchè perfettamente legali – accesso di per sé negato alle persone “normali” – costituisce di per sé un disequilibrio, se non uno vero e proprio sbilanciamento. È questa, secondo voi, un’etica a geometria variabile o le democrazie avanzate debbono comprendere e farsi carico anche di queste differenze?
Il campo della destra non può essere considerato un campo di cui vergognarsi solo perché vi ha soggiornato vent’anni da imperatore Silvio Berlusconi. È ora, cari liberali, di farsene una ragione.