Cinema Diamante, via Fabio Filzi a Milano, zona stazione Centrale: lì ho visto il mio primo film vietato ai 18 che non potevo vedere, chiedendo la clemenza della cassiera che evidentemente s’impietosì di quello sbarbatello di neppure sedici che voleva gustarsi in solitario il torbidissimo (per quel tempo) «Metti una sera a cena» di Giuseppe Patroni Griffi con una galattica Florinda Bolkan. Quell’angelo severo, sospeso a due metri d’altezza, si fidò pietosamente della mia autocertificazione anagrafica e filai in sala col cuore in gola. Allora c’era ancora la tenda a segnare la divisione tra zona pubblica e luminosa della cassa e il buio del peccato. Scostarla lentamente, sapendo d’essere nel pieno della colpa, è stato uno dei gesti più eccitanti della mia piccola storia (erotica). Siamo nel ’69, dunque qualche annetto fa. (Il film, peraltro, mantenne tutte le attese e il Diamante oggi non c’è più).
È per questo ricordo, e altri – affini – che vi negherò, che sono stato sopraffatto da (tristi) risate, preoccupandomi non poco della modernità del mio Paese, quando ho letto che la Triennale di Milano, una delle nostre istituzioni cittadine più gloriose, ha reintrodotto con quarantatrè anni di ritardo la Censura! Oggi infatti si inaugura una mostra che avrebbe proprio tutto per essere interessante ma che sarà negata – incredibilmente – ai maggiori fruitori dell’argomento: i ragazzi. Il titolo è «KAMA, sesso e design», un percorso – spiega il Corriere della Sera – «tra fisicità e sofisticato gioco intellettuale…, oltre 200 tra oggetti, reperti archeologici, fotografie, e opere site-specific di artisti e design internazionali che scandagliano il rapporto tra eros e progetto».
Ecco, letto dell’indirizzo della mostra, verrebbe da porre una semplice domanda a Silvana Annicchiarico, curatrice e direttrice del «Triennale Design Museum»: lei crede, signora Annicchiarico, che il percorso immaginato possa far parte della crescita complessiva di adolescenti di quattordici, quindici, sedici, diciassette anni, magari anche accompagnati da persone (genitori?) sensibili e attente o, al contrario, dobbiamo ancora considerarli come entità da proteggere preventivamente, dove la conoscenza dello sguardo immediato, sgravato da sovrastrutture, è in stretta parentela con il peccato e il torbido, dove intendiamo negare che la velocità con la quale la società nel frattempo si è evoluta sia in strettissima correlazione proprio con i segni antichi dell’erotismo e possa costituirne, semmai, un’intelligente tracciabilità storica?»
Del resto, sono proprio le parole della nostra curatrice che definiscono la scelleratezze di un divieto. Soprattutto quando Silvana Annicchiarico intende sottrarre la mostra alle facili letture patinate di questa epoca: «In questo momento storico ritengo che un museo non debba solo dare risposte per soddisfare un bisogno e forse un sogno. Ma soprattutto interrogarsi su un tema nevralgico che ci riguarda tutti… Basti pensare agli scandali politici del bunga-bunga o il fenomeno delle “Cinquanta sfumature di grigio”. Questa invece vuole essere un’occasione per raccontare come la storia del progetto abbia affrontato il tema con trasparenza e, a volte, persino sacralità».
Ma se è davvero «un tema che ci riguarda tutti», gentile signora Annicchiarico, escludere la parte più vitale del corpo sociale, quella più in evoluzione, sulla quale agire con sollecitazioni intelligenti e non banali, quella che ha bisogno, ogni tanto, di sottrarsi al magma indistinto di internet per selezionare le emozioni, per farsi sorprendere da una conoscenza mirata, ecco, escludere i ragazzi, significa negare la loro formazione, negare in radice che possano capire, confinandoli nel solito territorio di solitudine in cui «fare da soli».
Non era forse una splendida occasione per selezionare – finalmente! – la visione erotica?
E sul fare da soli, ancora due parole. Di che cosa si ha paura negando la visione concreta di statue, foto, oggetti, installazioni? Che i ragazzi ne possano ridere (possibile), che possano eccitarsi scriteriatamente (ma per carità), che possano subire uno choc da cui mai più si riprenderanno (da escludere)? E allora a quale pericolo si vorrebbe alludere, negando la conoscenza ai minori di 18 anni?
La maturazione sessuale di un adolescente non è più costruita, come un tempo, sui divieti. Oggi la Rete è il grande mare aperto con tutti i suoi pericoli e le sue opportunità. Se molti e molti anni fa, per potersi masturbare, vi era la necessità di un inevitabile ricorso al fantastico (con fantastiche conseguenze), questa modernità porta a immaginare nuove forme, più sottili e intelligenti, di avvicinamento al Pianeta. Questa mostra ne sarebbe stata una splendida occasione.