Che fine ha fatto la legge sugli stadi? L’ultima a chiederselo è stata Barbara Berlusconi. La consigliera d’amministrazione del Milan, non meno di una settimana fa, ha lanciato l’appello: «La legge va approvata, bisogna fare presto, il tempo stringe». In effetti, la beffa è dietro l’angolo. Dopo un vagare di oltre 3 anni in Parlamento, il disegno di legge che dovrebbe regolare la costruzione degli stadi di proprietà rischia di sparire con la fine di questa legislatura e con il conseguente scioglimento delle camere.
E dire che quest’estate l’iter della legge sembrava essere quello giusto. Il 12 luglio la Camera aveva approvato il disegno, mandandolo come da prassi al Senato, che avrebbe dovuto dare il nulla osta definitivo entro 6 settimane. Siamo a fine novembre e ancora nulla: il ddl è parcheggiato a Palazzo Madama, prigioniero di emendamenti, scontri interni al Pd tra favorevoli e contrari (soprattutto nell’ala ambientalista del partito) e in attesa che la Commissione Bilancio controlli che il progetto di legge rispetti i requisiti finanziari. Di questi ostacoli, la lotta tra le due ali del Partito Democratico è quello più difficile ad aggirare ed è la vera e propria causa dello stop all’approvazione del ddl. In sostanza – e curiosamente – la legge sugli stadi è diventato un affare tutto interno al partito, come se le primarie non portassero già abbastanza grattacapi. Lo si è visto con chiarezza qualche sera fa al programma della Rai ‘Novanta minuti’, dove nell’ormai classico formato dell’intervista doppia Renzi e Bersani si sono confrontati sul tema dello sport. Le domande sono ovviamente scivolate sulla legge sugli stadi. Bersani ha in sostanza confermato la linea principale del Pd, ovvero quella ambientalista: «Questa legge bisogna farla, ma solo con garanzie di tutela dal punto di vista urbanistico e ambientale». All’opposto il sindaco di Firenze: «Abbiamo bisogno di impianti nuovi non solo per risollevare il calcio ma per riavvicinare le famiglie allo sport». E la Lega Calcio, che attraverso il suo presidente Maurizio Beretta si è più volte fatta sentire alle settime commissioni di Camera e Senato, potrebbe dirottare verso Renzi molte (e importanti) simpatie.
Ma l’opposizione di vedute sulla legge tra Renzi e Bersani è solo la punta dell’iceberg. Da una parte c’è chi vorrebbe approvare la legge come il senatore del Pd Antonio Rusconi e il deputato Fli Claudio Barbaro, relatore della legge, che ha parlato di «Maldestri tentativi di affossamento». Dall’altra parte c’è l’ala ambientalista del Pd, che teme che la legge sia solo un pretesto per permettere ai club di calcio di operare veri e propri abusi edilizi. Al Senato, il disegno di legge ha ricevuto 35 emendamenti, di cui 30 del Pd. I senatori Ferrante, Della Seta e Ranucci, in particolare, hanno chiesto una modifica che riguarda la limitazione della volumetria edificabile e della parte residenziale. Ai microfoni di Radiosei, Della Seta ha precisato: «Uno dei problemi principali del testo normativo è che non si capisce il motivo per cui uno stadio debba essere considerato opera di pubblica utilità e poi perché non viene spiegato il concetto di ‘complesso multifunzionale’ e non c’è una definizione più stringente di cubatura. Qui si rischia di fare più gli interessi di immobiliaristi che di presidenti di club calcistici». Sulla questione si era già espressa la sezione laziale di Legambiente, che ha pubblicato un dossier che denuncia le possibili speculazioni e i danni ambientali che club come Roma e Lazio potrebbero provocare con i rispettivi stadi di proprietà.
Non solo. Legambiente Lazio ha sottolineato nei mesi scorsi come un progetto del genere non serva, visto che la Juventus si è costruita un impianto senza bisogno di una legge ad hoc. Il caso dello Juventus Stadium ha sollevato più di un sospetto. Nell’Italia delle lungaggini burocratiche, il club con più scudetti in serie A ci ha messo ‘solo’ 3 anni per avere una nuova casa, complice la velocità che il Comune di Torino ha impiegato nel disbrigare le pratiche e vendere il terreno alla Juve a prezzi favorevoli, favorevolissimi: l’affitto dell’area di 350 mila metri quadri costerà a Madama Juve 20 milioni per 99 anni, circa 58 centesimi a mq2. Poco davvero: basti pensare che se i bianconeri andranno agli ottavi di Champions, ricaveranno esattamente la stessa cifra tra premi e diritti tv. Soldi che però basteranno al Comune per rientrare nel patto di stabilità.
Nell’area dello Juventus Stadium è prevista anche una zona residenziale, proprio quell’aspetto che gli ambientalisti del Pd contestano. Eppure, per dirimere la questione basterebbe attenersi alle vigenti normative europee. Ovvero: il gestore che ottiene l’utilizzo di un’area può utilizzarla come meglio crede, eccetto la parte residenziale. Per quella, subentra una società appaltatrice, oppure si passa dall’amministrazione cittadina cui pertiene l’area in gestione. Un ottimo modo per evitare bolle edilizie sull’esempio di quanto successo in Spagna.
E così, mentre in Italia una legge può girare da un ramo all’altro del Parlamento per 3 anni, i dati sulle percentuali di affluenza agli stadi in Europa vedono il nostro Paese, quello che una volta ospitava ‘il campionato più bello del mondo’, all’ultimo posto delle quattro grandi competizioni nazionali per eccellenza. Comanda l’inglese Premier League con il 94,5% di stadi riempiti a stagione, seguito dalla tedesca Bundesliga con il 91,2%. Al terzo posto la Liga spagnola, in calo al 69,3%: solo Barcellona e Real hanno stadi di proprietà in grado di alzare la media, mentre il nuovo Mestalla di Valencia è invischiato nel crack di Bankia. Giù dal podio c’è la serie A con il 54,2%. Un dato che spiega come i nostri club dipendano a livello di introiti complessivamente per il 66% dai diritti tv.
A proposito di soldi. Questa legge, casomai dovesse entrare in vigore, non costerebbe un euro allo Stato. Una bella differenza, contro i 3500 miliardi spesi per costruire ex novo o ristrutturare vecchi impianti per i Mondiali di calcio del 1990.