Poteva accadere a Trento o a Caltanissetta. È successo a Milano, a soli tre semafori dal think tank del pensiero montiano, l’Università Bocconi. Poteva capitare in un classico o in una scuola professionale. È avvenuto in un liceo linguistico. È successo a me, ma – sono sicuro – poteva coinvolgere ciascuno di voi: dalla scuola mi è arrivata la richiesta di giustificare un giorno d’assenza della ragazza. Controllo sul calendario: è il giorno dell’occupazione, a cui lei aveva partecipato attivamente. Qualcosa non mi torna: di mestiere faccio il giornalista (a Radio Popolare) quindi tratto quotidianamente con notizie, parole e concetti. Cosa c’entra l’occupazione con l’assenza da scuola? Semmai è il contrario: si è più presenti nella scuola okkupata, con collettivi e panini, trattative con il preside e pulizie finali.
Non voglio dare consigli educativi ai docenti (non ne hanno bisogno) né agli studenti (li rifiuterebbero): vorrei motivare la mia perplessità per una richiesta che mi appare ipocrita e soprattutto potenzialmente diseducativa.
Dal punto di vista formale e sostanziale la partecipazione degli studenti ad un’occupazione non può essere considerata un’assenza. Con tutti i limiti dell’autoapprendimento (i collettivi con “esperti”, spesso coetanei dei ragazzi) e al netto delle ingenuità dei teenager, gli studenti hanno sperimentato un processo formativo. Hanno cercato di far entrare nella scuola la società. Può piacere o non piacere il metodo, ma al centro della protesta organizzata dagli studenti c’era la crisi economica che colpisce direttamente la scuola e la coesione sociale. «Non dobbiamo dimenticare di essere parte integrante di una società, quindi è nostro DOVERE essere attenti e informati riguardo ciò che accade al di fuori dei nostri edifici scolastici e delle case», hanno scritto – maiuscole comprese – gli studenti/okkupanti dell’Agnesi.
Meriterebbero un riconoscimento, almeno per la buona volontà. Ma che scuola è quella che sbarra le porte ai problemi quotidiani? Come se a tavola genitori e ragazzi non parlassero di come è dura arrivare a fine mese. Come se gli insegnanti non brontolassero per gli stipendi, l’orario di lavoro e le pensioni da fame. Come se gli adolescenti di oggi fossero estranei alle recenti e preoccupanti statistiche del Censis e dell’Istat su disoccupazione giovanile e rischio povertà. Come se entrambi, studenti e professori, non soffrissero della fatiscenza della loro scuola, con aule sbrindellate e temperature polari.
Torno al punto di partenza: perché la dirigenza della scuola mi chiede di considerare assenza l’occupazione da parte degli studenti? Qual è il senso?
Non regge neppure la scusa di una sanzione per i danni causati dagli okkupanti. Giovanni Gallio, il preside dell’Istituto Magistrale in questione, ha annunciato, urbi et orbi, ad una trasmissione di Radio 24 che – cito testualmente – «la scuola era pulita e ordinata, danni non ce ne sono stati, perché i ragazzi sono stati bravissimi nell’impegnarsi a evitare danni e dall’altro lato anche a mettere a posto, a pulire le aule e lasciarle in stato perfetto».
Ho frequentato la scuola il secolo scorso, ma mi sono tuttora utili gli insegnamenti più profondi, quelli arrivati da prof severi ma moderni: il professore di lettere che pretendeva che tutta la classe si alzasse in piedi quando entrava in aula, ma che all’intervallo ti offriva le sue pestilenziali Senior Service per disquisire delle differenze ideologico-stilistiche fra l’Ariosto e il Tasso; la professoressa di matematica che ci sfidava a imparare le regole a memoria come se fosse la formazione della nazionale di Bearzot; il professore di chimica che estraeva dalla sua ventiquattrore sgualcita il manuale tecnico e la Costituzione. Persone che accompagnavano alle loro materie altri insegnamenti vitali: saper leggere criticamente la realtà, indagare e scoprire, non fermarsi di fronte alle verità preconfezionate, legalità e solidarietà.
Accettate una provocazione? In questo periodo se ci sono degli assenti ingiustificati sono i professori. Sembra una frase fatta, ma davvero studenti e docenti possono essere alleati e non avversari di fronte ad un difficile contesto economico e sociale. La richiesta di giustificare come assenza una giornata di occupazione rischia di vanificare questa opportunità, perché propone – per quieto vivere – di considerare assenza una protesta civile. Esattamente il contrario del concetto di educazione.